L’INTERVISTA L’ESULE

«Sono veramente scioccata: a furia di seguire il voto mi ero illusa che Moussavi ce la potesse fare... mi ero persino dimenticata che negli anni ’80 quand’ero in prigione condannata a morte e migliaia di detenuti finivano al patibolo lui era il primo ministro. Se è riuscito a convincermi ha veramente carisma. Per questo gli iraniani s’illudevano potesse garantire un pizzico di libertà e qualche cambiamento. Per questo sono arrabbiati. Per questo incominciano a pensare di farla finita con il regime». Marina Nemat parla dal Canada, ma ha nella voce la stessa rabbia dei dimostranti di Teheran. Le sue critiche al regime nel 1982, quando aveva appena 16 anni, le costarono una condanna a morte. Si salvò rinunciando al cristianesimo, abbracciando l’Islam, sposando un carceriere e riuscendo ad abbandonare il paese. Autrice di “Prigioniera a Teheran” bestseller tradotto in 13 lingue, Marina Nemat non s’illude però che l’attuale ondata di proteste possa cambiare la situazione nel paese.
«Non aspettatevi una rivoluzione dall’oggi al domani. Le elezioni sono state manipolate e il verdetto finale è un’autentica frode, ma Moussavi non ha con sé il 90 per cento degli iraniani. I due schieramenti sono alla pari, ma il regime controlla le forze di sicurezza mentre gli altri sono abbandonati a se stessi. La loro unica forza erano internet, i telefonini e gli sms. Senza più quelli sono allo sbando».
La protesta però continua
«Quelli al potere torturano e riempiono galere da 30 anni, in 24 ore hanno già arrestato un centinaio di persone e messo praticamente agli arresti domiciliari lo stesso Moussavi, la rivolta non può durare più di qualche giorno. Inoltre Moussavi resta un uomo della Rivoluzione islamica e non ha voglia di distruggere l’infrastruttura di potere da cui arriva. È pronto a concedere cambiamenti e libertà sociali, non certo a cambiare l’essenza del regime. Da domani probabilmente cercherà una ricomposizione con i suoi vecchi amici».
Quindi la sua elezione non avrebbe cambiato nulla
«Il vero e unico capo nella struttura di potere iraniana è la Suprema guida, dunque il vero boss è sempre l’ayatollah Alì Khamenei. Se anche avesse spianato la strada all’elezione di Moussavi avremmo semplicemente assistito alla riedizione delle presidenze di Khatami. La rabbia di queste ore può però diventare un buon punto di partenza».
In che senso?
«Il broglio è stato troppo brutale e plateale. L’unico dato vero è quello sull’affluenza superiore all’85%. Le gente è andata a votare in massa e ora si sente defraudata. Questa disillusione potrebbe dar vita a un movimento nuovo capace nei prossimi quattro anni di trasformarsi in un’alternativa reale. In fondo è meglio aspettare.

Oggi uno scontro di piazza si concluderebbe in un bagno di sangue e i vincitori alla fine sarebbero sempre quelli che hanno le armi e il potere. Meglio dar tempo all’opposizione di organizzarsi, tanto il regime può solo continuare a perdere credibilità».

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