L’Italia peggiore sul palco dell’Ariston

La Clerici si strugge per Morgan, Cassano sorride da Idiota Perfetto e un Savoia butta in farsa l'amore per la patria costruita dai suoi avi

L’Italia peggiore sul palco dell’Ariston

Ho visto l’altra sera l’Italia che non ci piace. L’Italia becera e puttana, l’Italia imbecille e furbetta, l’Italia tossica e moralista. È stata un’apparizione breve, cinque minuti, ma è stata un riassunto genetico del suo squallore. Erano quasi le 23 e, come non mi capita quasi mai, ho fatto uno svogliato zapping sulle reti. Il telecomando è il nostro telepass che ci fa passare velocemente sulle autostrade dell’idiozia; ma il telepass è anche abbreviativo di passività televisiva. Ho scansato un faccione di Di Pietro mutilato e una mezza porcata di film e sono scivolato tra due tettone confezionate in rosso di una nota presentatrice. Là nel primo canale che scorreva tra le due possenti mammelle, ho visto per cinque minuti cinque l’Evento Principe, l’Autobiografia della Nazione, il Compendio d’Italia. Dico il festival di Sanremo. Cinque minuti non bastano per recensire una serata, anzi cinque; questa non è dunque una critica al festival. Non è nemmeno una polemica con chi lo conduce, con chi lo fa e chi lo dirige. Anzi, considero Gianmarco Mazzi un fior di professionista, so che lavora bene. Considero Mauro Mazza uno dei migliori uomini della Rai, in video e alla guida di reti e tg. Dunque non è una polemica contro di loro. Non è neanche una polemica contro la Rai a favore delle reti Mediaset e non è nemmeno, come fa la sinistra, un modo per attaccare tramite il festival l’era berlusconiana e il suo corso in Rai.

No, questa è una polemica metafisica, trascendentale, una denuncia contro Ignoti. Perché Sanremo non lo fa nessuno, si forma da solo, come i buchi neri, l’eclissi e gli uragani. È un caso unico di polluzione spontanea del Mezzo Televisivo, un coagulo di sperma, saliva, urina, lacrime, sudore e feci, tante feci. Sanremo è un evento virale in cui si formano larve e batteri. O per essere in sintonia con la location floreale, Sanremo non lo produce nessuno, si riproduce per impollinazione, tramite vento e ignari insetti.

Fatta la premessa ontologica, e mi scuserete per la parola attinta dal lessico di Cassano, passo a dirvi i cinque minuti che ho visto. Beh, ho acceso mentre Emanuele Filiberto cantava il de profundis all’Italia: è giusto, i suoi avi hanno fatto l’Italia e lui la seppellisce. Dalla storia alla farsa. Il reuccio della canzone esibiva un amor patrio falso e offensivo, che puzza di carne morta e di carnevale, cantava con rantolo da gatta morta, appena salvato da un tenore e dall’ottimo Pupo. Ma un’esibizione che ci fa vergognare di essere italiani, di aver tenuto i Savoia in Svizzera come si fa con i capitali, quando meritavano di vivere a Casal di Principe che più si addice per nome e per degrado agli ultimi latrati della Casata. Dopo un minuto di Emanuele Filibusto, che ha fatto rimpiangere l’epoca eroica quando il principe dall’Esilio smerciava sottaceti in televisione, mi sono sorbito un minuto e rotti della Tettona che ha suonato messa cantata sul Morgan a sette canne.

E lì ho visto l’altro lato della Brutt’Italia, il peggio nel peggio: un cantante che usa droga e dice che fa bene e passa per martire della medesima tv che gli ha dato notorietà. Morgan è vittima perché al posto di cinque minuti d’esibizione a Sanremo gli hanno dato appena due ore di Porta a Porta, quindici giorni di popolarità, un omaggio alla Memoria e un lancio discografico che gli altri se lo sognano. Ma non solo: hanno pure speculato sul Morto, ovvero piangendo lacrime di coccodrillo sulla sua esclusione e annunciando colpi di scena e presentatrici che si dissociano in diretta dalla decisione di epurarlo, hanno tirato furbescamente sugli ascolti. In quell’elogio untuoso all’Assente hanno realizzato lo Spirito Peggiore dell’Italia, la caricatura losca dell’anima clericale del Paese, quella che alterna santini a demonizzazioni, che condanna e consola, che soffre nel punire e gode nella confessione per celebrare infine il pentimento.
Pensavo di aver già fatto overdose di Pessima Italia dopo questi due minuti e mezzo di guaiti principeschi e dosi di crack tagliate con lacrime di ipocrisia, quando è apparso Cassano, con le sue parole, i suoi pensieri, il suo sorriso da Idiota Perfetto. Gli avevano confezionato per il dialogo un testo demenziale, diceva stupidaggini neanche spontanee che la Tettona commentava con commosse attestazioni di ammirazione: meraviglioso, unico, eccezionale, fantastico. Era un elogio a non leggere e a non pensare, a non faticare nella vita e a non meritare un modesto stipendio tramite studi e lavoro; era un lasciar parlare i piedi e considerare la rozzezza, la stupidità, l’ignoranza assoluta come modelli di virtù da indicare alle nuove generazioni. Cassano si vantava di aver scritto più libri di quanti ne ha letti, e ne ha scritti due; e la Mammella Parlante lo elogiava come un Jack Kerouac dei nostri tempi. Hanno letto perfino i suoi Aforismi, genere che io adoro e che collego a Pascal e Nietzsche, a Cioran e Gomez Davila, ma anche, se volete a Longanesi e Flaiano. Raccapricciante pensare che gli aforismi per milioni d’italiani siano invece associati al nome di Cassano. Al suo cospetto perfino Totti sembra Heidegger. Mi sono vergognato di essere suo conterraneo e contemporaneo, e non perché uno così non abbia diritto a esistere o a essere elogiato per le sue doti calcistiche; ma perché mi pare aberrante l’uso pubblico che se ne fa della sua immagine e del suo pensiero, il cui danno civile vale cento dichiarazioni di Morgan in favore della cocaina. Separate almeno i fatui dalle opinioni.
A questo punto ho rimpianto di non vedere a Sanremo anche Tartaglia e la D’Addario, o Fabrizio Corona e Marrazzo, più cori di corrotti, trans e mignotte. Perché un programma che è la sintesi di Peggioritalia deve raccattare tutto quel che c’è di rappresentativo tra Zoccolandia e Ladroburgo.

Ho visto in cinque minuti il concentrato peggiore dell’Italia, le sue falsità e le sue volgarità, i meriti e le colpe capovolti, l’imbecillità al potere e la malafede al comando. Voi che pensate di affiancare all’Auditel un Qualitel per misurare l’indice di gradimento e di qualità dei programmi, pensate piuttosto di introdurre il Vomitel, per misurare il livello di schifo dei programmi.

E dire che venivo da una discussione accesa con mio figlio che diceva di detestare l’Italia e

la sua rappresentazione in tv e di volersene andare; e io dicevo che tutto il mondo è paese, che il paradiso in terra non esiste e l’amor patrio invece sì e l’Italia ha lati anche buoni. Invece no, avevi ragione tu, Rudi.

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