L’Italia si ritrova al fronte per forza

Tra guasconate francesi e tentennamenti americani siamo arrivati a un punto di non ritorno: non si può lasciare il raìs rabbioso e armato davanti alle nostre coste. E il Paese farà la sua parte

L’Italia si ritrova al fronte per forza

Siamo a una bella svolta, cerchiamo di non averne paura. Si muovono le portaerei nel Mediterraneo, la Nato si organizza, le basi militari sono in agitazione. La strada della no fly zone e dell’estromissione di Gheddafi dalla tavola delle Nazioni dopo le sue azioni sanguinose di questo ultimo mese e dopo la parole di pazzesca minaccia, ha fatto il suo corso, e oggi ne siamo parte integrante. Anche il Parlamento italiano tutto, nelle sue Commissioni esteri e difesa convocate d’urgenza, ha ratificato la scelta del governo.

Ai tempi della Serbia, nel ’99, il governo si mosse senza chiedere il permesso a nessuno. La scelta è maturata lentamente, con sofferenza, con i soliti tentennamenti di Obama, con l’Europa spaccata a metà, fra guasconate francesi e atteggiamenti troppo astuti e alla fine melensi della Germania. Poi tutti sono arrivati a decidere insieme che con Gheddafi non si può andare avanti. Ognuno avrà un ruolo diverso, ma l’insieme dei Paesi occidentali si è schierato insieme, ha avuto la forza di evitare i veti di Cina e Russia, si è trascinato dietro la Lega Araba, la Nato, tanti Paesi fuori dell’UE che vogliono unirsi all’impresa. È un principio elementare quanto indispensabile e per niente ovvio nel nostro tempo: i dittatori sanguinari non possono essere sopportati, anche se la realpolitik talora spingerebbe a chiudere tutti e due gli occhi.

La risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell’ONU batte molti record: non si era mai vista tanta convergenza intorno a una risoluzione basata su uno dei principi fondanti dell’ONU, la «responsabilità di proteggere», che le Nazioni Unite avevano da tempo dimenticata, tutte prese nelle loro maggioranze automatiche che invece spesso proteggono i dittatori in assemblea e nelle commissioni, per esempio dei diritti umani o per le donne. E invece stavolta siamo arrivati a una stessa conclusione noi del mondo democratico: gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra, l’Italia abbiamo imposto la nostra visione del mondo e abbiamo costretta la vecchia carcassa a dire alcune cose che ci stanno a cuore, e noi italiani l’abbiamo fatto un po’ eroicamente, pieni di preoccupazione. Gheddafi abita molto vicino, ci sta quasi attaccato addosso, quel braccio di mare è così piccolo, valanghe di immigrati possono riversarsi da noi se dovesse cominciare un bombardamento aereo o d’altro tipo; senza Gheddafi non sappiamo cosa può accadere, ma un raìs ferito e sopravvissuto potrebbe fare di noi l’oggetto del suo odio più accanito.

Eppure l’Italia unica è andata a Bengasi a portare aiuto umanitario, unica ha stabilito contatti con i ribelli. Giocando a dadi sulle loro vere intenzioni, certo, ma ci faremo i conti quando saranno salvi. E noi avremo più forza per farceli.
L’apprezzamento è stato grande. Ci siamo fatti paladini presso l’Unione Europea di quel pattugliamento del Mediterraneo che ora pare debba essere un pilastro del cessate il fuoco base del lavorio internazionale.

Ci sono due cose molto importanti che non sappiamo: come finirà e chi sono coloro che vogliono sostituire Gheddafi. Ma sappiamo però, di nuovo, che siamo vivi. Fino a ieri lo erano solo l’Iran che approfittando della confusione attanaglia con le sue chele il canale di Suez e porta armi a Gaza tramite la Siria, e l’Arabia Saudita, che a sua volta contro il pericolo sciita manda i suoi mercenari in Bahrein a aiutare il re. Due grandi forze in movimento. E noi, dove eravamo finora? Adesso fra mille rischi ci siamo, secondo i nostri principi e su una larga base unitaria.

Anche i successori di Gheddafi, se ci saranno, dovranno rispettarci di più e credete a una giornalista che si occupa di mondo arabo da molti anni: il rispetto è tutto da quelle parti.

E anche i dittatori come Assad di Siria, o i prepotenti, come gli hezbollah in Libano, saranno meno temuti dalla loro povera gente, e da noi stessi. Da lontano, c’è chi guarda e protegge, e siamo noi. O almeno, stiamo studiando per questo.

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