Il caso della collaborazione tra Renato Farina, vicedirettore di Libero, e il servizio segreto Sismi solleva una duplice questione su cui è opportuno riflettere con le dovute distinzioni. Primo, qual è il giusto rapporto tra il giornalista e le sue fonti di informazione, soprattutto quando si tratta di materie «sensibili». Secondo, qual è il modo migliore per difendere in tempi di terrorismo i valori del nostro Occidente.
Le traversie delle fonti riservate, in particolare di quelle giudiziarie e dell'intelligence, sono tristemente note. Tutti conoscono l'onestà e la passione di Farina per cui ogni paragone è fuor di luogo. Tuttavia non si possono ignorare le tante occasioni nelle quali si è stigmatizzato il ruolo ambiguo di questo o quel giornalista (l'esempio più famoso è Mino Pecorelli) che, pur sollevando scandali necessari, si prestava a giochi dei servizi tutt'altro che commendevoli. È inoltre opportuno richiamare il biasimo che ha circondato i rapporti ravvicinati tra la stampa e quei magistrati inquirenti disposti a favori particolari verso giornalisti compiacenti.
Certo non è raro che il giornalista in cerca di notizie difficili frequenti ambienti border line. Quel che però va al di là della trasparenza è lo scambio che l'uomo dell'informazione imbastisce sulle notizie riservate. Il giornalista che accetta di ricevere informazioni in cambio di una particolare maniera di presentarle, oppure che si presta a manipolarle su sollecitazione esterna, abdica alla sua specifica responsabilità che ha sempre qualcosa di pubblico. Sia che lo scambio avvenga con un magistrato inquirente che vuole eccitare un particolare scandalo, sia che si intrecci con uno spione che ha bisogno di servizietti, e sia pure che serva a qualche potere forte che utilizza la stampa per i suoi fini.
L'altro nodo in ballo riguarda il rapporto del giornalista con le proprie idee che, in questo caso, sono state riferite alla cosiddetta «difesa dell'Occidente». In verità a noi paiono del tutto insostenibili e contraddittorie le giustificazioni militanti invocate da Farina, così come suonano retoriche le parole dei suoi supporter che hanno parlato di un «Occidente che rinunzia a vedere la realtà e a difendersi». Il giornalista che scambia la difesa di un proprio ideale con il rapporto con il servizio segreto non ha nulla di «occidentale» ma si avvicina piuttosto alle pratiche in uso nelle società e negli Stati illiberali.
Se vi sono dei valori, delle regole e dei principi senza i quali non esisterebbe neppure il concetto di Occidente, questi riguardano lo Stato di diritto, l'autonomia della stampa, il limite dei servizi segreti, la trasparenza di chi svolge funzioni pubbliche, e la rigorosa distinzione delle sfere di attività. L'Occidente si regge sui valori dell'individuo, della coscienza e della verità contro qualsiasi ragion di Stato e qualsiasi ideologia militante e giustificatrice.
Non spetta a noi emettere giudizi su Renato Farina, che è la persona più in buona fede che si conosca, né tanto meno pronunciarci sulle sue eventuali responsabilità penali di cui solo la giustizia è competente. Ci auguriamo perciò che l'ottimo collega superi brillantemente la prova come merita un appassionato combattente per la libertà.
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