Fidatevi lo rimpiangeremo. E non solo noi, ma anche molti egiziani accampati a piazza Tahrir. E lo rimpiangerà quel Barack Obama che oggi ha tanta fretta di liberarsi di lui. Non siamo degli ammiratori di Hosni Mubarak. Quando al Cairo ancora non si muoveva foglia già elencavamo limiti e difetti di un’autocrazia corrotta, irrispettosa dei diritti umani e poco attenta ai rivolgimenti politico sociali che stavano per travolgerla.
Ma di fronte al caos, alla confusione e al fanatismo che minaccia di rimpiazzarla è doveroso rendere onore e merito a Hosni Mubarak. Ha 82 anni, è sofferente e malato, ma può contare su una fortuna valutata intorno ai 40 miliardi di dollari. Dunque chi glielo fa fare. Potrebbe andarsene all’estero, fuggire con i sacchi pieni di soldi e la famigliola al seguito come il compare tunisino Ben Alì. Togliendo il disturbo in tutta fretta - come consiglia Obama- potrebbe patteggiare un dorato esilio non nella torrida Arabia Saudita, ma nelle magioni di famiglia disseminate tra Londra e Beverly Hills.
Invece il faraone non molla. Resta ad occuparsi del Paese governato per quasi trent’anni. Resta ben consapevole che in Egitto, come in tutto Medioriente, la caparbietà può costarti non solo potere e ricchezza, ma la vita. Ha visto Saddam morire impiccato, ma resta per garantire una transizione pacifica. Per dare il tempo a quelli che oggi lo vorrebbero appeso per i piedi di mostrarci il «nuovo» nascosto sotto le nebbie di piazza Tahrir.
Per comprendere con calma chi ne siano i protagonisti. Per evitare le derive di tipo iracheno evocate dai sanguinosi scontri di ieri al Cairo. Per consentire a tutti, anche a noi stranieri,d’individuare un alternativa al fanatismo dei Fratelli Musulmani e all’inconsistenza di Mohammed El Baradei. In fondo quel grigio burocrate onusiano sempre pronto a flirtare con Teheran è stato incaricato di negoziare per conto dell’opposizione. Dunque lo faccia, discuta con il proprio avversario, dimostri di esser in grado di offrire un alternativa più accettabile.
Certo trattare con chi conosce il Paese e da trent’anni ne garantisce la stabilità non è facile. Si rischia di venir smentiti, sbugiardati. E allora ecco l’evocazione di un Faraone prontoda qui alle elezioni di settembre - a ribaltare il tavolo e riprendere l’eterno gioco. Balle. Quel gioco s’è definitivamente chiuso sabato quando il capo dei servizi segreti - generale Omar Suleiman gli ha imposto di non ricandidarsi, di rinunciare a passare lo scettro al figlio Gamal e di consegnargli la carica di vice presidente. Indietro non si torna.Per farlo Mubarak dovrebbe sfidare non solo la piazza,ma anche quell’esercito da cui dipende ora la sua sopravvivenza fisica. E soprattutto dovrebbe temere i dossier segreti di Suleiman. Per questo un ultimo guizzo del Faraone non è solo improbabile, ma impensabile.
Giustificato è invece il suo desiderio di venir ricordato non come un mariuolo in fuga, ma come un leader di lungo corso. Molti lo chiamano il Faraone grigio, contrappongono il suo volto arcigno al carisma di Sadat e di Nasser. Ma sulle coscienze di quei due illustri predecessori pesavano due guerre con Israele costate all’Egitto 10mila morti nel 1967 e quasi 15mila nel 1973. Sadat fece la pace, ma chi la difese mettendo in gioco la propria vita, rischiando perdite di consenso e sfidando gli altri sovrani mediorientali è sempre stato il «grigio» faraone.
Un Faraone spietato nel reprimere la rivolta fondamentalista, ma lungimirante nell’intravvedere i rischi di un movimento terrorista dalle cui fila stava emergendo il numero due di Al Qaida Ayman Al Zawahiri. Mentre il mondo sonnecchiava nell’inconsapevole attesa dell’11 settembre Hosni era già lì con il coltello tra i denti. E anche quando gli sarebbe convenuto, in cambio di consensi e senile tranquillità, ignorare le armi e i soldi iraniani in transito dal Sinai verso la Gaza di Hamas, il vecchio Faraone non ha mollato.
Ha rispettato i propri impegni, i patti con Israele, le intese con l’America.Ora c’è da chiedersi se quelli che lo vorrebbero già lontano saranno in grado di fare lo stesso. Se saranno in grado di offrirci un Egitto ancora in pace con Israele e sempre aperto all’Occidente. Se continueranno a garantire la difesa dei cristiani copti e i transiti di merci e petrolio dal Canale di Suez. Se questo è quanto vogliono, un Mubarak senza carri armati e senza generali è il più innocuo dei loro mali.
Se invece vogliono qualcos’altro, quel Mubarak «disarmato» sarà il miglior tutore della futura democrazia. Perché nessuno in Egitto conosce meglio di lui avversari e nemici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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