Walter Veltroni e Massimo D’Alema, fratelli coltelli, se le danno di santa ragione da una vita. Eterni duellanti, non finiscono mai di beccarsi. Se l’uno dice bianco, l’altro dice nero. Così, per tigna. Per spirito di contraddizione. Ma la politica, si sa, non si fa coi sentimenti e i risentimenti. Con umori e malumori. L’avversario di ieri può diventare l’alleato di domani. Mai dire mai, dunque. Fatto sta che i due cavalli di razza del Pd, o presunti tali, battibeccano non solo per ragioni epidermiche ma anche sostanziali. Ed è soprattutto di queste ultime che occorre parlare. Con riguardo al concetto di opposizione che li vede l’un contro l’altro armato.
L’intervista di D’Alema al Corriere della Sera è quanto mai istruttiva al riguardo. Il sospetto è che intenda resuscitare quell’Ulivo che tutti gli osservatori davano per morto e sepolto. Proprio lui che una volta se ne uscì così: «L’Ulivo? È formato da mezzo partito, il mio, e da dieci virus». Legittima quindi la domanda dell’intervistatore se abbia nostalgia di formule politiche usurate: «La comitiva di 11 sigle dell’Unione non c’è più. Ora c’è il Pd, che può diventare il perno di una nuova alleanza democratica tra partiti che si mettono insieme sulla base di un programma chiaro e si vincolano a un codice di comportamento».
Questa replica sembra escludere un ritorno a formule sperimentate in passato. Tanto è vero che D’Alema, del quale tutto si potrà dire tranne che non sia filologicamente attrezzato, parla di «una nuova alleanza democratica». Ma allora questo Ufo che rischia di diventare il Pd con chi diavolo dovrebbe fare comunella? L’ex presidente del Consiglio per grazia ribaltonista ricevuta, non ci fa stare sui carboni ardenti. E, con la consueta alterigia, spiega: «Rifondazione non sembra avere interesse a una prospettiva di governo, ma a sinistra c’è chi vuole questa sfida. E all’opposizione ci sono Udc e Idv».
Insomma, D’Alema vorrebbe coprirsi a dritta e a manca. Da un lato confida in una sinistra più o meno estrema che al momento si aggira come un fantasma per il Bel paese. Dall’altro aspetta e spera che Pier Ferdinando Casini si comporti come la manzoniana monaca di Monza e alla fine dica di sì. La verità è che, come ha sostenuto a ragione sul Giornale Alessandro Sallusti, «a sinistra scambiano una speranza per una realtà». E quale mai è il sogno di chi si ritiene il più bel fico del bigoncio democratico? È il sogno che già fece Marco Follini. E che lo indusse a fare il salto della quaglia a sinistra dove adesso conta meno del due di briscola. Il sogno è che se non Silvio Berlusconi in persona, quanto meno il berlusconismo si stia avviando sul viale del tramonto e convenga prenderne le distanze. Con una lungimiranza contraddetta un giorno sì e l'altro pure dai fatti. Nonché da tutti i sondaggi, a partire da Mannheimer, che non tifa certo per il Cavaliere.
La verità è che D’Alema non ha mai fatto mistero di essere consapevole che la sinistra è sempre stata minoritaria in Italia. Può vincere solo a due condizioni. La prima è riuscire ad aggregare, in puro stile trasformistico, una parte dell’odiata destra. La seconda è che sia guidata, meglio se da un re Travicello, non da un esponente di punta della sinistra postcomunista ma da un cattolico adulto che cortesemente si presti. Grazie all’Armata Brancaleone, Romano Prodi ha vinto nel 1996 e nel 2006. Ma poi ha perso la guerra politica, con il risultato che è stato costretto a scendere anzitempo le scale di Palazzo Chigi. E sulla scalata di Baffino al Palazzo, per carità di patria è meglio tacere. A ogni buon conto, Max faccia tesoro del monito di Marx. Carlo, non uno dei cinque comici: «La Storia una prima volta si manifesta in tragedia e una seconda in farsa». Uomo avvisato, mezzo salvato.
Veltroni, al contrario, ha predicato bene e razzolato male. Ha esordito raffigurando il Pd come un partito a vocazione maggioritaria. Se non fosse stata una promessa da marinaio, col tempo avremmo avuto un bipartitismo di stampo britannico. Poi ha sbracato e s’è alleato con quel satanasso di Tonino Di Pietro che è stato la causa della sua rovina. E allora addio a un’opposizione che in quanto tale può aspirare a diventare forza di governo. Con il bel risultato, come ha affermato Antonio Polito sul Riformista, che «da mesi ormai il Pd accoglie ogni legge del governo gridando all’incostituzionalità e pretendendo che qualcun altro (la Consulta, Napolitano o il Padreterno) la fermi o la bocci... Resta solo l’urlo».
Alle corte, D’Alema sogna quei ribaltoni dei quali ha beneficiato. Mentre Veltroni contava sulle potenzialità del Pd. Ieri come oggi acefalo, senza né capo né coda.
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