L’oro nero dell’Eni: «Il nostro futuro è in Africa e in Irak»

«L’Uganda e l’Irak sono i due paesi che rappresentano il futuro strategico a medio-lungo termine del nostro gruppo», ha detto Claudio Descalzi, direttore generale dell’Eni responsabile di exploration & production, commentando con il Giornale l’accordo appena concluso con il gruppo inglese Heritage Oil che ha portato la compagnia italiana guidata da Paolo Scaroni a comperare per 1,5 miliardi di dollari due giacimenti petroliferi nel bacino del lago Albert con riserve stimate di circa un miliardo di barili. Si tratta di uno di quei «progetti giganti», come lo ha definito Scaroni, che ha però suscitato le perplessità di Knight Vinke, il fondo attivo americano che possiede l’1 per cento del Cane a sei zampe e da tempo sostiene l’opportunità di dividere in due la compagnia, una oil company e una gas company, per ottenere un’ottimizzazione finanziaria.
Secondo Knight Vinke il deal in Uganda va giudicato positivamente anche se, assieme agli altri progetti del gruppo, comporterà forti investimenti. E queste esigenze finanziarie riporterebbero d’attualità il disegno di divisione in due dell’Eni. La compagnia non ha replicato alle affermazioni del fondo Usa.
Con l’acquisizione dei due pozzi, il peso relativo dell’Africa sub sahariana fra i fornitori dell’Eni salirà in maniera rilevante: in prospettiva arriverà a coprire il 25 per cento degli approvvigionamenti complessivi. E questo quando i giacimenti ugandesi entreranno in funzione a pieno ritmo, prevedibilmente fra il 2014 e il 2016. Il Cane a sei zampe è già presente in Angola, in Ghana, in Gabon e soprattutto in Nigeria. Con il nuovo deal in Uganda, il gruppo di San Donato diventa il primo produttore di greggio del continente nero.
«La scelta dell’Uganda è strategica sotto molti punti di vista - ha detto ancora Descalzi -. Nell’area sub sahariana abbiamo già una presenza di grande rilievo e abbiamo soprattutto delle competenze, delle conoscenze geologiche che speriamo di poter sfruttare al meglio». Anche Scaroni ha definito quella «una zona che potrebbe riservarci alcune piacevoli sorprese».
L’Uganda è strategica anche da un punto di vista industriale. «È un business che offre opportunità di sviluppo per l’intera filiera del greggio, dall’esplorazione e produzione, al trasporto via pipeline. Per questo l’Eni intende mettere la propria esperienza e le proprie conoscenze a fattore comune per lo sviluppo del business e del Paese».
Con l’acquisizione dei pozzi in Uganda, inoltre, fa un altro passo la strategia di diversificazione delle zone di approvvigionamento che l’Eni segue tradizionalmente per ripartire il rischio fornitori, sempre incombente quando si tratta di petrolio, concentrato in aree politicamente delicate.


La compagnia, che ha contratti di sfruttamento minerario distribuiti in varie aree, dal mare del Nord, al Nord Africa, dalle ex repubbliche sovietiche come il Kazakhstan, all’Africa naturalmente, da poco ha raggiunto un accordo per il giacimento di Zubair, in Irak. «Dopo l’Uganda - conclude Descalzi - guardiamo al Medio Oriente, dove in prospettiva anche l’Irak diventerà strategico per noi».

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