L’oro di Schwazer è un braccialetto dedicato alla Kostner

La grande impresa nella 50 km: «Potevo solo vincere. Io come Bolt? Lui guadagna 10 volte più di me, ma io sono felice 5 volte più di lui»

nostro inviato a Pechino

Lacrime di ragazzo sopra un oro che emoziona. Gioia di ragazzo per un oro che esalta. Tutto così bello come un fiore in bocciolo. Pechino ha fatto risvegliare l’Italia con il sorriso puro, genuino, allegro e spaccone del suo mister muscolo. Alex Schwazer non si è negato niente: 50 km in marcia, sotto un sole che inaridiva la pelle, 90 per cento di umidità, calore che fa sentir la febbre dentro, termometro da 39 gradi. Ma nulla poteva prosciugare il suo umore, il bello del momento che stava vivendo. Di tanto in tanto levava il braccio destro, faceva il gesto di Braccio di Ferro. Parlava così: ecco, sono il più forte di tutti. Guardate e guardatemi! Gli hanno detto: hai fatto divertire l’Italia. Ha risposto: «Non mi puoi dire niente di più bello. Far ridere la gente, fa bene». Gli propongono: ti senti Bolt? «Bolt chi? Lui guadagna dieci volte più di me, fatica cinque volte meno di me, ma oggi io sono contento cinque volte più di lui».
Alex ha compiuto l’impresa da fachiro dei tempi moderni. Eppoi ha trovato tutto quello che aveva desiderato: la folla, la grande folla, lo stadio che si apre ai suoi occhi che non sanno trattenere le lacrime. «L’avevo sognata così, come resistere?», racconterà. Ma tanto aveva già detto in quel finale irresistibile da Superman della strada. Via da solo ai 40 km. «Ho preso una bottiglia d’acqua, ho guardato per terra e non ho più visto l’ombra dei mie avversari. Allora ho capito che era il momento». Seminati l’australiano Tallent e il russo Nizhegorodov, ultimi suoi compagni di viaggio. Ormai lontano il cinese Li che, insieme agli altri, lo accompagnava dai primi dieci chilometri. Via solo e felice, imperioso e dirompente nel passo. Schwazer sembrava camminare su un tapis roulant, tanto era lieve la fatica. Alla fine andrà sopra le righe: «Dopo tre ore era come fossi stato a letto a guardare la Tv». Dopo 3 ore e 37, poco dopo le cinque del mattino in Italia, era là che piangeva abbracciato a Sandro Damilano, l’allenatore che ha scommesso tutta la credibilità su questo altoatesino con vena napoletana, comunque molto mediterranea. Ha tutto per diventare un personaggio televisivo (bello, simpatico e forte), lo aveva anche prima, ma spesso in tv sono ciechi.
Vedere per credere: il nostro saltava sui sacchi del salto con l’asta facendo capriole, bandiera italiana sulle spalle, lo stadio che lo seguiva impazzito e divertito. Ogni tanto levava il dito al cielo e indicava il piccolo lutto che portava sulla maglia. In ricordo del nonno morto tre settimane fa. Guardava quel braccialetto al polso, che ha mostrato al mondo. E il mondo a chiedergli: perché? E lui. «Non ve lo dico. Il braccialetto è un regalo e mi fa molto felice». In tv il segreto è stato svelato. Spunta il nome: Carolina Kostner. Stanno insieme da un paio di mesi. Vero Alex? Non nega, ma non ci casca. «Perché mi chiedete solo questo? Io oggi ho vinto l’oro, sono felice. La sapete la barzelletta di quello che dice: ma perché non ti fai gli affari tuoi?».
Alex compirà 24 anni il 26 dicembre, forse nella data c’è un segno. Chi ti ha portato? Il Bambin Gesù? Questo è il giorno in cui risponderebbe: sì. Rispolvera tutto: la storia di un ragazzo che ha provato con l’hockey e la bici. Ha vissuto a Calice, un paesello di sette case. Le montagne non hanno segreti, la malga è un rifugio. Quante volte è salito al passo Giovo, nei boschi sopra Vipiteno: la sua via maestra al sudore. Non ha mai temuto la fatica. A 15 anni scommise con amici che sarebbe andato in bici da Vipiteno a Bolzano, 80 km in un’ora e trequarti. Fu un trionfo, ma aveva dimenticato che il ritorno sarebbe stato in salita: ci mise 4 ore e mezzo. Arrivò a casa bianco e stravolto, tanto da far spaventare la mamma. Ma poi ha scoperto che la marcia è felicità. Ieri l’ha dimostrato. «È bello alzarmi al mattino, allenarmi, avere gente che mi vuole bene. Le gare si vincono e si perdono, ma è importante essere con la coscienza a posto. Questa è la felicità: provar gioia per quello che si fa». Leva l’orgoglio quando dice: «Sono un atleta pulito. Ed è difficile descrivere quello che provi dentro: devi viverlo per capirlo».
L’anno scorso tornò furibondo dai mondiali di Osaka. «Per me aveva vinto un bronzo, per lui aveva perso un oro», ricorda Sandro Damilano. Quella rabbia è riesplosa tutta ieri. Energia positiva. Una storia solitaria? No, dice lui. «Non si vince da solo, ma con la gente che ti sta intorno. Quando fatichi, se non hai sostegno, non vai da nessuna parte». Ieri sul podio ha riprovato a piangere. Cantando l’inno davanti alla bandiera.

Ammette: «È stato un minuto indimenticabile, come tutta questa giornata». Poi torna lui. «Basta, ho finito le lacrime». Alex, scanzonato Braccio di Ferro. Quello che marcia e non cerca la Ferrari. «Preferisco un telefonino. Cosa me ne faccio della Ferrari?». Giusto, va a piedi.

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