L’ultima mossa del regime siriano: via il governo e la legge marziale

Dopo 48 anni, e due settimane di proteste con oltre 130 morti, la Siria dice addio alla legge marziale. E a Washington Hillary Clinton annuncia che gli Stati Uniti non intendono ripetere nel cuore del Medio Oriente l’intervento militare che stanno conducendo in Libia, anche perché, sottolinea, il Congresso americano considera Bashar Al Assad «un riformatore». Per una volta in pieno accordo con Hugo Chavez, il presidente del Venezuela secondo il quale il presidente siriano «non è un estremista e ha grande sensibilità umana». E a Damasco sfrutta subito l’assist statunitense il raìs oculista, giunto al potere nel 2000 designato dal padre Hafez che sei anni prima si era visto privato da un incidente stradale del suo erede naturale, il figlio maggiore Bassel. Ancora sostenuto dal partito Baath, infatti, l’ex oftalmologo prova a resistere. Annuncia un discorso tv alla nazione, rilascia 16 oppositori arrestati nelle ultime manifestazioni di protesta, decreta si diceva la fine della legislazione d’emergenza, promette riforme costituzionali e silura il governo del premier Mohammed Al Utri, zio di sua moglie. E cerca di sabotare le proteste per bocca del suo (ancora per poco) ministro dell’Interno, che invitava i siriani a ignorare gli sms che li chiamavano a una grande manifestazione nel centro Umayyad a Damasco perché quei messaggini «sono opera di persone che vogliono incitare al conflitto».
Il governo, infatti, continua ad attribuire a «bande armate» le violenze di questi giorni. Dopo aver accusato «stranieri» di aver armato e istigato i «gruppi di sabotatori» a Daraa e Samnayn, i media ufficiali affermano che ignoti uomini armati hanno ucciso a Latakia, nel nord, dieci agenti di polizia. Non è mancata neppure la notizia dell’arresto di un americano di origini egiziane, accusato di avere legami con Israele e di essere coinvolto negli scontri. E neppure l’intimidazione nei confronti della stampa internazionale, con la sparizione di due giornalisti dell’agenzia Reuters.
La legge marziale, in vigore dal colpo di Stato che nel 1963 portò al potere il Baath, permette la detenzione senza processo, il controllo sui media e permette ai tribunali militari di giudicare i civili. Il portavoce del raìs ha spiegato che verrà abolita non appena entrerà in vigore la nuova legge antiterrorismo e che entro una settimana saranno anche varate nuove norme sulla stampa. Fra le riforme costituzionali annunciate la modifica degli articoli che limitano la libertà di associazione e il pluralismo politico.
Nonostante questo, però, manifestazioni anti-regime si sono svolte anche ieri a Daraa, la città del Sud dove due settimane fa era iniziata la protesta e dove in occasione dei funerali di tre oppositori uccisi dalle forze di sicurezza ieri la folla ha scandito lo slogan, ormai non più tabù, contro Assad: «Il popolo vuole la caduta del regime».
Al di là delle frontiere, due sono i Paesi che osservano con più apprensione l’evolversi degli sviluppi della situzione politica in Siria: Libano e Israele. E se nel primo la partecipazione alle vicende del vicino incide sulla qualità della «dialettica politica», con filo-siriani e anti-siriani protatonisti di scontri di piazza, nel secondo sono i giornali a interpretare le inquietudini dell’opionione pubblica. Il governo Netanyahu sembra rintanato nel «non far nulla». Questa, almeno, è la linea che buona parte della stampa e degli osservatori israeliani addebita al premier.

Attribuendogli la convinzione che i venti tempestosi che soffiano sulla regione - scuotendo gli equilibri anche di Paesi vicinissimi come Giordania e Siria - siano un motivo in più per battere sul tema della sicurezza dello Stato ebraico: anche in vista di futuri, e per ora assai ipotetici, accordi di pace.

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