L'assolo di Angus Young lo scolaretto di 60 anni che tiene giovane il rock

Davanti ai novantaduemila di Imola gli Ac/Dc hanno portato in scena una carriera da 200 milioni di copie. Potrebbe essere il loro ultimo tour. E la fotografia di un rito collettivo che il mondo digitale vuole dimenticare

L'assolo di Angus Young lo scolaretto di 60 anni che tiene giovane il rock

Nostro inviato a Imola (Bologna)

Ma guardatelo, arriva sul palco a modo suo, camminando lento passo dopo passo mentre la chitarra suona gli accordi di Rock or bust . Apoteosi in platea, e una apoteosi da novantaduemila spettatori è molto, molto rumorosa. Imola, autodromo. Questo è il rock quando alza il volume, un rito ecumenico che non lascia nessuno escluso. E, se questo concerto è il più seguito dell'anno in Italia, vuol dire che gli Ac/Dc sono probabilmente rimasti gli ultimi a celebrare un concerto tipicamente vintage eppure modernissimo, tante canzoni, poche parole, effetti speciali quanto basta. E molto del merito è proprio di questo piccolo grande chitarrista, 1,57 di altezza, praticamente alto come la sua chitarra Gibson, un Terminator dei luoghi comuni che a sessant'anni appena compiuti monopolizza tutte le platee del mondo da quando ne aveva venti, correndo scalmanato sul palco senza sbagliare una nota. Shoot to thrill . Hell ain't a bad place to be . Back in Black . Il pubblico salta all'unisono, qui non ci sono esagerazioni stile rave, al massimo qualche birra in più. E, canzone dopo canzone, questo scozzese cresciuto in Australia conferma di essere quello che veste: indossa da sempre una divisa da scolaretto, adottata dopo gli anni tribolati al liceo, e si muove come se il tempo non fosse mai trascorso.

Il caldo lo trasfigura. Il sudore gli riga il volto. La fatica è quella che è su di un palco largo 45 metri con 8 torri delay e 8 megaschermi mentre scorre una scaletta di una ventina di brani che tutti mandano a memoria. Cori infiniti. Pubblico monolitico, nel senso che si muove all'unisono con la musica. Impressionante. Dopotutto sono, a parte poche novità, gli stessi brani che gli Ac/Dc suonano da almeno trent'anni senza perdere uno spettatore per strada. «Non capisco tutto questo successo - ha detto una volta scherzosamente Angus Young - in fondo abbiamo pubblicato sempre gli stessi dischi cambiando soltanto la copertina». Ed è proprio così. La formula musicale degli Ac/Dc, che ha prodotto il secondo disco più venduto della storia della musica (dopo Thriller di Michael Jackson c'è Back in black con oltre 50 milioni di copie), è come la Settimana Enigmistica : in tanti hanno provato a imitarla, nessuno ci è riuscito con successo. Pochi accordi. Batteria quasi sempre in quattro quarti. Testi minimali salvo rare eccezioni ( Let there be rock che chiude il concerto prima dei bis è un archetipo di questo tipo di musica). Su tutto c'è Angus Young, nato a Glasgow con un secondo nome impegnativo (McKinnon) e un destino difficile da emigrante in Australia. Nel tempo, oltre a 200 milioni di copie vendute e decine di tour mondiali, è diventato uno dei trenta chitarristi più importanti della storia del rock secondo Rolling Stone e senza dubbio il più riconoscibile: suona come un ossesso anche qui, al suo ennesimo concerto del solito giro infinito per il mondo, muovendosi come ha insegnato Chuck Berry (il duck walk , quel passo lento in sintonia con gli accordi) e monopolizzando l'attenzione del pubblico da vero mattatore.

Certo, qui ci sono il cantante Brian Johnson (che ha voluto suonare a Imola dopo aver scoperto l'autodromo mentre registrava Auto da rockstar in onda da oggi su Discovery Channel) e una sezione ritmica compatta e formata dal batterista un po' spompato Chris Slade, dal bassista Cliff Williams e da Stevie Young nipote di Angus e dell'ormai malato Malcolm (manca Phil Rudd, il batterista condannato ieri a 8 mesi di arresti domiciliari per vicende di droga). Ma la stella qui, mentre il sole bestiale cala dietro al palco dell'autodromo, è sempre Angus Young, sfinito dopo aver camminato, corso, saltato per quasi venti canzoni con la sua divisa da scolaretto in velluto blu. All'inizio è entrato con un cappellino, poi ha mimato il gesto delle corna (lo fa dagli anni '70) e infine si è sciolto suonando.

Vestito così, manco fosse uscito da Cambridge, riassume il significato del rock vecchio stile: virtuosismo, esagerazione, essenzialità. Tra gli anni Settanta e gli Ottanta è stato considerato dalla critica come un caciarone senza arte né parte, un funambolo fine a se stesso, insomma niente di che. Poi, quando anche gli eroi del nuovo rock hanno iniziato a riconoscerlo come un caposcuola (vedi Slash dei Guns N'Roses e Jack White) la tendenza è lentamente cambiata. E ora è l'ultimo dei mohicani. Un po' virtuoso. Un po' showman. Soprattutto rocker vecchio stampo: tanta fatica e pedalare.

Perciò, correndo qui, mentre suona il crescendo finale di For those about to rock (We salute you) sul palco sterminato di un autodromo, questo piccolo chitarrista sessantenne esce dai suoi panni scenografici di liceale e diventa un monicker , un simbolo che viene dal passato ed è destinato a rimanere giovane senza invecchiare perché il rock, appena alza il volume, dimentica l'anagrafe e buonanotte a tutto il resto (anche perché questo, molto probabilmente, sarà l'ultimo tour).

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