Altro che macchietta. Sordi fu il simbolo nel bene e nel male del boom italiano

L'attore non è stato la maschera grottesca del Paese moderato. È stato il protagonista (poco amato) di una stagione irripetibile

Altro che macchietta. Sordi fu il simbolo nel bene e nel male del boom italiano

L'identità italiana del dopoguerra, per un lungo tratto di tempo, è stata ricostruita e raccontata attraverso l'appartenenza ideologica. C'è stata l'Italia democristiana. Quella comunista. Quella socialista. Quella laica. Quella neofascista. Quella sessantottina. Poi, nell'ultimo ventennio del Novecento, quella indipendentista. Giovannino Guareschi è stato un insuperabile maestro nel mettere in scena la più rappresentativa contrapposizione ideologica. Nel piccolo centro emiliano di Brescello, in fondo, si rifletteva nello stereotipo, spesso tagliato con l'accetta, un affrontamento epocale. Italiano certo. Ma al tempo stesso europeo e mondiale. Non a caso nell'ultima puntata romanzesca di Don Camillo, i rivali di sempre, il curato e il sindaco, si trovano ad affrontare, vecchi e disillusi, nemici nuovi quanto imprevisti: i «giovani d'oggi». A Peppone toccano i maoisti. A don Camillo i preti conciliari ye-ye. Ma c'è una figura in grado di raccontare la straordinaria avventura dell'Italia moderna, negli splendori e nelle contraddizioni: Alberto Sordi.

Nella ricorrenza del ventennale della sua scomparsa, è arrivato il momento di uscire fuori dalla gabbia nella quale l'Albertone nazionale è stato rinchiuso. Sordi rappresenterebbe il prototipo negativo dell'italiano. Furbo, imbroglione, privo di morale, cinico. Però sempre a galla. Spesso con il solo naso fuori dall'acqua. Democristiano, in perenne odore di sacrestia, piccolo-borghese, custode del «familismo amorale». Il suo romano-centrismo racchiuderebbe i vizi comuni ai palazzi della politica e a quelli vaticani. Questi sono gli steccati. Ma bisogna andare oltre, scardinando le ovvietà. Sordi non è la maschera grottesca dell'Italia moderata. Non è lo specchio nel quale si riflette la deludente immagine dell'autobiografia della nazione. È il protagonista di una stagione unica ed irripetibile. La fotografia dell'Italia nel 1945 è quella di un paese uscito distrutto dalla guerra. Le macerie, però, più che materiali sono morali, identitarie. Per vent'anni la piccola Italia si è autorappresentata all'insegna della continua grandezza. Di colpo la macchina è tornata inesorabilmente indietro. Sui primi anni del dopoguerra si addensano minacciose le «paure» degli italiani, che la cinematografia neorealista intercetta. La perdita di una bicicletta, nel 1948, trascina un onesto padre di famiglia nel baratro della disperazione.

Il volto di Sordi non c'è nel neorealismo. Comincia ad apparire quando le nebbie dell'inquietudine rapidamente si diradano. Le «paure» vengono rimpiazzate dalle «speranze». Condensate nel grande successo commerciale della commedia, cosiddetta all'italiana. Ecco allora Sordi entrare in scena. Cavalca il «miracolo economico» di film in film. L'Italia corre, sfreccia. Si modernizza. La bicicletta lascia il posto alla motoretta, poi all'utilitaria. Spesso ad entrambe. Il benessere si diffonde. La lingua si unifica. Per imparare a leggere e a scrivere non è mai troppo tardi. Gli indici di scolarizzazione e demografia schizzano verso l'alto. Questa irripetibile stagione è stata perlopiù raccontata da una «vulgata» di matrice progressista, impegnata a tratteggiarne impietosamente i lati negativi. Sordi è stato elevato a maschera grottesca spesso macchietta, basti pensare al pasticcione Cretinetti de Il vedovo (1959) di Dino Risi di quest'epoca a guida demo-clericale. Uno stereotipo duro a morire. Ogni nuova fabbrica nella zona industriale più dinamica del suolo, è stata edificata su un cadavere. È l'amara conclusione del film Una bella grinta (1965) di Giuliano Montaldo. Sordi è un altro mondo. La Grande Italia ha deciso di costruirsela da sé. Da oscuro impiegato, aspirante vigile motociclista, piccolo commerciante, professore nelle scuole secondarie, avvocato senza grandi competenze, imprenditore spesso sconclusionato.

L'Italia di Sordi è sì piccolo-borghese. Ma il suo ruolo è positivo. Anche se ha goduto, e tuttora gode, di pessima rappresentazione. L'ostilità nei confronti della borghesia è il filo rosso che lega la cultura dominante italiana degli anni Trenta (fascista) con quella, altrettanto dominante, degli anni Sessanta (antifascista). Il romanzo Gli indifferenti (1929) di Alberto Moravia, pubblicato dalla casa editrice milanese di proprietà di Arnaldo Mussolini, viene trasposto sullo schermo dal comunista Citto Maselli nell'omonimo lungometraggio del 1964. La figura di Alberto Sordi non solo è rimasta estranea alla cultura dominante nel dopoguerra, ma ha incrociato, addirittura, una maggiore ostilità nell'universo generazionale affermatosi negli anni Settanta. Valga un solo ma significativo esempio: Nanni Moretti. Il giovane regista romano è infastidito a tal punto da Sordi che nel suo film-manifesto Ecce bombo (1978), scarica il proprio incontenibile malumore nella battuta: «Ve lo meritate Alberto Sordi!». A meritarselo sarebbero gli italiani mediocri, borghesucci, arruffoni, pantofolai, dai gusti banali, dalla cultura inesistente, dai comportamenti imbarazzanti, dagli imbrogli perenni.

Sordi resta l'imitatore un po' scemo dei peggiori stereotipi della nuova modernità americana, che s'avventa, privo di garbo, sulla scodella di maccheroni della crapulona tradizione nostrana. La vecchia sinistra, come la nuova, non ha mai digerito Sordi. Ma, ad essere onesti, la globalità della cultura italiana, tranne rare eccezioni, gli è stata, se non ostile, indifferente. La perfetta istantanea è quella del «tassinaro» verace che, fatto salire inaspettatamente Giulio Andreotti per una corsa, alla fine gli chiede la raccomandazione per il figlio. Anche nella versione drammatica di Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli, Sordi resta patetico, alla spasmodica ricerca della solita raccomandazione per il figliolo non proprio sveglio.

È ormai giunto il momento di rivedere con occhi nuovi l'avventura cinematografica di Alberto Sordi. Non tanto per confermare la grandezza dell'attore, che è indiscutibile. Ma per capire come l'Italia si è messa in scena nei suoi film. Senza pregiudizi ideologici. Di nessun tipo.

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