Igor Principe
Un filone storiografico particolarmente apprezzato nei paesi anglosassoni è indicato con la locuzione «what if
», ovvero «cosa sarebbe accaduto se».
A quel filone si può riallacciare lo spettacolo in corso al Teatro Studio, Una stanza tutta per me. Lo si comprende dal sottotitolo: Se Shakespeare avesse avuto una sorella. Esigenze di sintesi, anche poetica, hanno imposto un taglio a ciò racchiude il senso del testo; ovvero: cosa sarebbe accaduto se l'ipotetica miss Shakespeare fosse stata scrittrice più dotata di William.
La risposta è semplice: niente. «Avere talento non le sarebbe bastato: era una donna e ciò la allontanava da ogni possibilità di carriera e successo», spiega Laura Curino, protagonista di uno spettacolo scritto a quattro mani con Michela Marelli e tratto da un tanto intenso quanto poco frequentato lavoro di Virginia Woolf.
«Si tratta di una conferenza che la scrittrice tiene nel 1928 - prosegue Curino -. Dopo la pubblicazione di Orlando il mondo editoriale e culturale chiede la sua presenza praticamente ovunque. La invitano ad una conferenza, lei entra nel panico e per affrontare la cosa scrive questo discorso in sei capitoli che poi verrà stampato con il titolo Una stanza tutta per sé. È un testo splendido, vibrante, da leggere per trarre coraggio nell'affrontare il futuro».
La grande Virginia non fa che un'analisi sulla condizione della donna, sia nella storia sia nel suo contemporaneo, e non c'è da starne allegri. Riscontra per esempio, che il primo college inglese fu fondato nel 1096, e che per ottocento anni l'istruzione universitaria rimane appannaggio esclusivo degli uomini; nel 1896, infatti, nasce il primo college per fanciulle. Insomma, per il gentil sesso esprimere talento non è agevole come per un uomo. Quella conferenza, dunque, è la radice del femminismo? Curino lascia intendere di no.
«È un testo asciutto e disincantato, in cui Woolf spiega che le cose sono andate così e non è il caso di piangersi addosso - prosegue -. Infatti dice alle sue contemporanee: ragazze, ora svegliatevi e datevi da fare. Certo, è consapevole che non sarà facile. La sua conclusione si articola sui tre punti: ci vorrà almeno un secolo, visti gli ottocento anni trascorsi tra il primo college maschile e il primo femminile; ci vuole una solida base economica, perché l'indigenza non aiuta; e ci vuole una stanza tutta per sé, ovvero il luogo in cui la concentrazione non venga interrotta dal ritmo della quotidianità».
Curino - che sul palco del Teatro Studio è diretta da Claudia Sorace - interpreta un lavoro ispirato alla parte centrale della conferenza della scrittrice. Quella, cioè, in cui si parla di una ipotetica Judith (Giuditta, sul palco) e ne si immagina la vicenda in chiave lirica, sotto forma di versi scanditi dal Bolero di Ravel. Il tutto riscritto e adattato per la scena, a formare uno spettacolo che a Milano conclude una fortunata tournée. E che, non indulgendo in piagnistei, riesce a consolare e a ricaricare chi vi assista.
«Rispetto ai tempi di Virginia, oggi le basi economiche sono migliori - dice la protagonista -. Lasciamo stare quindi le scuse.
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