La legatoria che da 90 anni vende la carta ai milanesi

Da via Maddalena a via Salasco. Da via Salasco a viale Tibaldi 3, accanto al Naviglio Pavese. Ci sono negozi storici che muoiono, strozzati dalle spese e altri che per non spegnersi si spostano in periferia. Sentite. Anzi, entrate. Perchè l’insegna «Tele per legatoria, Pasini, 1922» non la racconta tutta. «Non sa quanti scendendo dall’autobus, sbirciano dalla vetrina e mi chiedono: ma lei cosa vende?» racconta l’aneddoto divertita Juna, la giovane erede della dinastia della carta. Ma che carta? Un tipo solo: quella per rilegare libri, enciclopedie, volumi in genere. Tessuta con il cotone per resistere, impermeabile, alla colla. A volte è proprio carta, a volte tessuto. In tutte le fogge, le marche e i colori. La Treccani? Apritela e tastate la controcopertina. L’enciclopedia dell’Arte? Sfogliatela e sfioratela, la materia prima è tutta qui. «Sì, li abbiamo riforniti noi, come le edizioni pregiate della Zecca, quelle della tipografia Turati-Lombardi e molte altre» confermano da Pasini. Così succede che le piccole librerie chiudano i battenti e invece sopravviva chi vende i materiali per la legatoria, perchè questi si possono utilizzare in mille modi. Negli album di fotografie, nelle agende personalizzate, nei ricettari e in quant’altro la fantasia suggerisce. Come è cambiato il mestiere con gli anni? «Prima lavoravamo solo con l’editoria, oggi siamo il paradiso degli hobbisti, di chi ama il fai da te, il cartonaggio, il decoupage. Uno entra, sceglie il formato, acquista il cartone fustellato che si può ricoprire o dipingere e si crea un volume personalizzato». Non solo. Anche accessori, svuota-tasche, cestini, caraffe, vassoi, cornici, bomboniere o cartoncini per inviti. «Chi non vuole spendere troppo viene qui, sceglie i modelli e poi, ingegnandosi, si costruisce il porta confetti risparmiando sulla lavorazione». I raccoglitori partono dal soffitto e sfiorano il pavimento; solo di carta di Varese, la famosa con i gigli, ne esistono duecento varietà. È la prediletta dai restauratori. Altre arrivano dalla Thailandia, dal Nepal, dall’India. Poi ci sono le tele, canapa effetto grezzo, seta, daino, misto cotone, vellutino, similpelle.
I clienti sostano in negozio anche tre quarti d’ora, gironzolano, tergiversano, tastano le carte. «Magari poi acquistano solo un foglio che costa 60 centesimi - racconta Juna -, ma io non me la sento di aumentare i prezzi». E ce la fa ad andare avanti? «Ce la sto mettendo tutta (in negozio con Juna c’è una commessa e la mamma, Piera, nuora del fondatore Giovanni Pasini, ndr.). Passo le ore al computer a studiare come risparmiare e a dilazionare le spese. Sarei contenta di riuscire ad andare avanti così pagando lo stipendio alla commessa tutti i mesi e le tasse». Certo, una volta erano altri tempi, ricorda la signora Piera: «Arrivavano ordini consistenti dall’oggi al domani, che batticuore.

Non mi scorderà mai il problema della casa Elisabeth Arden che divenne subito il nostro cruccio: voleva riproporre la scatola di alcune creme nella tinta rosa-salmone, difficilissima da ricreare identica, ogni volta il bagno di colore usciva diverso». Già, erano altri tempi.

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