Libertà (di muoversi)

Se muoversi sembrava facile come respirare, il 2020 ha allacciato una mascherina sul nostro volto di liberi cittadini

Libertà (di muoversi)
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Se muoversi sembrava facile come respirare, il 2020 ha allacciato una mascherina sul nostro volto di liberi cittadini. Perché la minaccia del Covid, e in modo particolare la gestione dell'emergenza sanitaria, ha imposto nuove barriere e innalzato confini tanto invisibili quanto invalicabili. Nel mondo che ha fatto della fluidità e dell'interconnessione le bandiere del progresso, tutto è stato ridimensionato. Gli effetti dello tsunami si sono avvertiti ovunque, dal piano globale a quello locale. L'azienda con ambizioni internazionali ha ridotto al minimo gli scambi con l'estero; lo studente in Erasmus ha ripiegato i suoi sogni in un cassetto; le famiglie si sono scoperte più che mai frantumate tra i tanti Nord e Sud che alimentano differenze e disuguaglianze; gli spiriti viaggianti sono rimasti attoniti a fissare quella valigia svuotata ai piedi del letto.

Come in un Medioevo digitale fatto di pixel, sono tornate le Città-Stato e le Regioni-Ducato. La rinuncia a contatti ravvicinati è stata la Regola del sacrificio, la chiave per la sopravvivenza. La distanza una bolla di conservazione. In altre parole abbiamo intaccato un'altra porzione di libertà individuale, fino a un attimo prima inviolabile, in una sospensione di diritti ma anche di desideri. Abbiamo accettato le restrizioni, perfino le più cervellotiche, cosicché gli spostamenti sono diventati quasi un atto sovversivo dell'ordine costituito dalla pandemia. Ad eccezione di un'effimera estate passata nell'illusione di una normalità a portata di vacanza, siamo stati delle monadi ancorate al terreno, mentre le stagioni sono passate tutte uguali in nome dell'immobilismo. Con la primavera, l'autunno e l'inverno mescolati in un'unica dimensione. Blindati in quattro mura a Pasqua come a Natale e a Capodanno, un balcone per piattaforma su cui immaginare voli pindarici. Gli unici permessi dai Dpcm, del resto. Le diapositive delle città fantasma restano muti avvertimenti di quello che è stato e non dovrà più essere. Aeroporti e stazioni come scenari apocalittici oscillano tra code dettate dalla fobia dei divieti e deserti metropolitani, che rimbombano di annunci verso il nulla. Questo virus ha infettato il senso più profondo del viaggio: non puoi partire se non puoi tornare, se non sai chi resta ad aspettarti.

Quasi otto miliardi di persone adesso guardano al vaccino come stella cometa che indichi un percorso di sicurezze da riconquistare. Eppure - avvertono scienziati e politici -, non sarà un siero miracoloso a donarci patenti di immunità o pass che non prevedano di portare a bordo un bagaglio di responsabilità. In definitiva usciremo di casa, prima ancora che dal nostro Comune, solo quando incontrare gli altri non costituirà di per sé un'avventura. Ancora più pericolosa di una presunta deriva autoritaria, è l'assuefazione a una libertà residuale, ovvero a tutto ciò che resta al di fuori di quanto «non è consentito». Non ci sono zone rosse o arancioni che tengano quando il primo posto di blocco lo troviamo nella nostra testa.

Dopo la grande glaciazione, l'umanità dell'era post Coronavirus dovrà riprendere il cammino ricordandosi di portare in tasca non l'ennesima autocertificazione, bensì il passaporto più difficile da ottenere.

Servono due timbri, per ripartire. La fiducia nel prossimo, già, pure in quei nostri simili che hanno negato i fatti e aggirato le regole. E la curiosità della scoperta: c'era una volta e c'è ancora un mondo, oltre le pareti delle case bunker.

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