Un semplice tratto di voce che unisce due punti imprecisati nello spazio e nel tempo. È un'immagine che si muove di profilo, ritrovando nel cammino se stessa, come se il futuro fosse la proiezione quantistica di quello che è successo, imponderabile ma non totalmente improvvisato. È un dialogo continuo con ciò che eri, ciò che sei e ciò che sarai. Non si sfugge ai propri presupposti. Il tipo se ne va borbottando, in lite d'amore con il mondo, con il disincanto di chi vede svanire le proprie illusioni, ma non per questo smette di seguirle. È chiaro che segue un'etica che non ha più radici. La speranza e la fatica è di ritrovarle, senza guardarsi indietro, andando magari ogni volta un orizzonte più in là. Quando appare viene battezzato Mr. Linea. È l'intuizione di un disegnatore che sta per scavallare i quaranta. È nato sul Lago di Garda, a Toscolano Maderno, ma la sua famiglia si trasferisce presto a Milano e si risparmia gli ultimi giorni di Salò. Si chiama Osvaldo Cavandoli e fa cortometraggi per la pubblicità. Le cose nel 1969 non stanno andando proprio alla grande. Quel po' di successo arrivato con Lancillotto e Re Artù, prodotto insieme a Giuseppe Laganà, sta già svaporando. Le cambiali sono di casa e per pagarle lui pensa al tempio del nuovo consumismo: Carosello! Bussa a una moltitudine di porte. No, grazie. Mr. Linea non interessa. Non ci vedono nulla. È un omino senza qualità apparenti. Ci vuole uno sguardo più profondo, quello di chi per mestiere fa le pentole. È così che la Linea viene ribattezzata Agostino Lagostina. «Chi è Agostino? È un piccolo uomo vivace, dal naso espressivo, con tutte le istanze e le preoccupazioni della vita contemporanea. Figlio di una matita e di una mano».
Il cielo a questo punto si apre. Agostino ha il timbro di Carlo Bonomi, che diventerà una leggenda per generazioni di bambini, fino a dare la voce per una decina d'anni a Pingu, ma che in quel 1969 è un attore di teatro che raccoglie nelle sue corde vocali un'infinità umanità. Agostino non solo parla un grammelot dal vago calore milanese ma racchiude tutte le età, i generi, le contaminazioni. Agostino è di volta in volta, istante dopo istante: adulto, donna, bambino, di mezz'età o adolescente, vecchio e indefinito, di ogni sesso e di qualsiasi origine. Il segreto della Linea è proprio qui. La Linea è l'universale. Ora questo concetto qui, questa aspirazione, questa vocazione che può sembrare metafisica, ma che si incarna in ogni singolo individuo, appare scontata. Ecco, non lo è. Non lo è per niente. È un lungo viaggio con tanti rovesci, e battaglie, e ritorni. È la sacralità dei diritti universali. È il diritto di ogni individuo di cercare, perseguire, la propria felicità. «Pursuit of happiness». È un concetto, un sentimento, che Thomas Jefferson apprende dalla filosofia di John Locke e del napoletano Gaetano Filangieri e dalle chiacchiere nella bella dimora di Monticello, a Charlottesville in Virginia, con il toscano Filippo Mazzei. È l'eredità politica che arriva dal rinascimento italiano e dal pensiero anglosassone. È quello spirito di libertà, come atto morale, che trovi nelle pagine di Kant. È l'idea che le infinite differenze individuali trovano una sublimazione nell'umano. Non importa da dove vieni, cosa pensi, in cosa credi, chi sono i tuoi santi, le tue vite e quelle dei tuoi antenati, le migliaia sfumature della pelle, ma da punto a punto tu godi di diritti universali, inalienabili, intangibili, fondamento primario di libertà e democrazia. L'universale è commovente.
Qualche volta ti chiedi se ci sia ancora. Il timore è che da qualche tempo questa aspirazione sia stata sostituita da un concetto, una pratica mercantile, che viene spacciata come una sorta di sinonimo. Il globale, invece, non è affatto affine all'universale. Anzi, in un certo senso è quasi l'opposto. È un po' come la differenza che c'è tra la fusione e la fissione nucleare. La prima, che appartiene al Sole, abbraccia, la seconda al contrario spacca, disintegra, produce energia certo, ma anche scorie.
La Linea di Cavandoli, che incarna l'universale, contiene tutte le differenze, fa sue consuetudini e anomalie, ti ricorda ogni attimo che nessuno è indegno, nessuno è di troppo, nessuno va messo da parte perché non possiede le caratteristiche canoniche. Il globale insegue invece il consumatore senza identità e lo vuole il più facile possibile.
È l'umano che mangia, veste, pensa, sogna allo stesso modo a Roma, Parigi, Tokyo o New York. Il globale è tassonomico, cataloga, incasella, protocolla. Non è una linea, ma un cassetto. Non è semplice ma facile. Il globale scarta chi si svela «divergente».
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