L'intelligence del popolo che sfida il Pentagono

L'australiano Julian Assange ha inventato Wikileaks. Da decenni entra nei computer altrui

L'intelligence del popolo che sfida il Pentagono

Qualcuno lo vorrebbe al fresco, ma in un posto così Julian Assange in fondo già ci sta. Dopo la conferenza stampa di Londra con cui ieri ha risposto a chi da Washington lo accusa di trafugare segreti militari il fondatore e direttore di Wikileaks potrà tranquillamente rifugiarsi nella terra dei ghiacci, in quella remota Islanda trasformata grazie alla legge votata il 16 giugno dal Parlamento di Reykjavik, nel primo santuario mondiale dei segreti svelati e diffusi via internet. Ma partiamo dall’ultima rivelazione, dalle migliaia di file top secret sulla guerra d’Afghanistan messi a disposizione di Guardian, New York Times e Der Spiegel. Il 39enne Assange, che ieri a Londra ripeteva di «far solo del buon giornalismo», ci lavorava da tempo. Il grande trafugatore preparava il colpo almeno dal 23 giugno quando annunciò imminenti sorprese sulle operazioni militari americane. Prima di sganciare l’ennesima bomba informatica il super hacker doveva però costruirsi un’impenetrabile igloo in quella terra dei ghiacci scelta come tana estrema. La svolta islandese era già stata annunciata ad aprile in un’intervista alla versione italiana di Wired in cui Assange raccontava di star lavorando a «una proposta di legge firmata da 19 parlamentari» destinata a trasformare la piccola Islanda nell’«equivalente dei paradisi fiscali per il giornalismo investigativo». La preparazione del «buenretiro» durava ancor da prima. Per capirlo basta spulciare i file di Wikileaks contenenti le conversazioni segrete tra esponenti dell’ambasciata statunitense di Rejkyavik e del governo islandese sulla crisi bancaria che mandò in fallimento il Paese dei ghiacci.
La rivelazione di colloqui ritenuti vessatori per l’Islanda ha garantito probabilmente buone entrature all’intraprendente Julian che le ha utilizzate per favorire l’approvazione della legge a suo favore. Questo ovviamente non basta a chiarire i misteri della sua vita e della sua crociata. I pochissimi al mondo che possono vantarsi di conoscerlo lo descrivono come un impenetrabile cyber folletto dai capelli argentati, lo sguardo inquieto e l’aspetto dimesso di un insonne appena tirato fuori da un sacco a pelo. I pochi amici ne parlano come di un geniale paranoide mosso dall’ubbia di trasformare le istituzioni mondiali in uno scaffale di cristallo senza segreti. Fissazione affascinante, ma non sempre produttiva per l’umanità. Le migliaia di file «afghani» messi ieri su internet, per quanto probabilmente autentici, non contengono informazioni necessariamente vere, ma solo una messe di soffiate raccolte sul campo e utilizzabili solo dopo esser state selezionate e passate al vaglio dagli esperti d’intelligence. Vaglielo a dire a Julian, l’hacker senza padre cresciuto al seguito di una madre e di un fratellastro che lo scorazzavano per l’Australia a bordo del loro teatrino itinerante. Da quell’infanzia scapestrata e senza fissa dimora germina probabilmente il suo karma di vagabondo e ribelle.
A 17 anni, dopo aver frequentato 30 scuole diverse Julian diventa Mendax, la mente di un gruppo di hacker in calzoncini corti auto battezzatisi «Sovversivi internazionali». Il nome non è una sparata. Grazie ad un prodigioso software studiato da Mendax il gruppetto scorazza nei computer di Nasa e Pentagono. L’apogeo o l’apocalisse, arriva nell’ottobre 89 quando - alla vigilia del decollo di un navicella Atlantis - i tecnici della Nasa vedono comparire sui computer la scritta Wank, acronimo inglese di «vermi contro i killer nucleari», la sigla adottata per l’occasione da Mendax e compagnia. Julian Assange appena 18enne, ma già padre, si ritrova così braccato. Per salvarsi si trasforma da ladro in poliziotto, da hacker in difensore dei sistemi informatici, da scavezzacollo in studente universitario appassionato di matematica e neuroscienze. La svolta non dura molto. «Il suo senso morale riguardo all’idea di penetrare un computer - ricorda Ken Day l’agente australiano che indagò su di lui - era semplice: “Se non faccio male a nessuno che male c’è”».
Il ritorno alle origini arriva nel 2007 quando Assange crea Wikileaks. Grazie a quella buca delle lettere informatica mette in piazza le e-mail segrete che svelano l’inconsistenza degli studi sul riscaldamento globale, i dossier sulla corruzione in Kenya, lo sconvolgente e brutale video in cui si vede un reporter iracheno della Reuter fatto a pezzi con altri civili da un elicottero statunitense. Dopo il clamore suscitato da quel filmato e l’arresto del soldato americano che l’avrebbe fornito a Wikileaks, l’enigmatico Julian fa prima capire di esser braccato dal Pentagono, poi annuncia di esser in Australia, ma di esser stato privato del passaporto. Subito dopo si materializza ai quattro angoli del mondo tornando a invocare la trasparenza globale. Un progetto affascinante, ma viziato forse da un eccesso di egocentrismo.

Quando un giornalista gli ha chiesto chi decida l’autenticità dei documenti depositati nella buca elettronica di Wikileaks l’imperturbabile Julian alias Mendax ha risposto semplicemente: «Io». Che nel caso rischia di far pericolosamente rima con «Dio».

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