«Liste di attesa, la legge del ralenty»

Lazio, liste d’attesa alle stelle. Ad aprile scorso 502 giorni per un eco-doppler ai tronchi sovraortici, 221 per una mammografia. Tempi record. Occorre tagliare le attese, specie se c’è il sospetto di una malattia grave. Ma in che modo? Dall’Ugl arrivano tre proposte, semplici e concrete. Primo, rialzare il tetto alle prestazioni nelle cliniche accreditate, che oggi camminano con il freno a mano tirato. Secondo, coinvolgere il medico di famiglia. Terzo, rivedere l’intra-moenia.
È un puzzle di disorganizzazione quello che rende bibliche le liste d’attesa. Qualcuno potrebbe definirlo un cane che si morde la coda. I malati aspettano perfino un anno, un anno e mezzo. Ma di contro nella sanità pubblica gli apparecchi diagnostici sono sotto-utilizzati, lavorano col ralenty, a volte appena 2-3 ore al giorno. E’ il regno del caos. Del “casino organizzato”. Già, perchè qualcuno ci guadagna pure. Il business, anzi, è astronomico. Per un eco-doppler alle vene arteriose, il costo in un centro di cura privato è di 200-250 euro, anche 320 euro. Fuori della porta c’è la fila. Il tempo per l’analisi? In genere non più di 48 ore.
La soluzione dunque deve essere questa? Pagare di tasca propria? «No, l’obiettivo primario deve essere abbattere le liste di attesa» afferma Cesare Secci, segretario regionale nel Lazio dell’Ugl Sanità, 20 anni di esperienza come dirigente ospedaliero: «La disorganizzazione ha toccato il fondo in questi anni, ora si deve intervenire». Uno dei problemi da affrontare è l’intra-moenia. La legge 120/2007 previene espressamente «possibili conflitti d’interesse e forme di concorrenza sleale» e stabilisce in dettaglio «le prestazioni libero-professionali dei medici del Ssn all’interno delle strutture della sanità pubblica». Il fine del doppio regime è «di ridurre i tempi di attesa e assicurare che le prestazioni libero-professionali siano una libera scelta del cittadino». Ma di fatto non è così. Si deve mettere mano al portafogli. A volte, è esperienza comune, negli ospedali le macchine (Tac, Rmn) lavorano in modo scoordinato. Due-tre ore, la mattina. Il pomeriggio, in intra-moenia, a pieno regime. E’ un disservizio non casuale? «Non posso dirlo con certezza, ma il sospetto è forte» risponde Secci: «D’altra parte se uno guadagna di più il pomeriggio, perchè lavorare di più la mattina? Bisogna rivedere le regole». L’intra-moenia in sostanza andrebbe vincolata alle liste d'attesa. Altrimenti è solo business.
Da 2-3 anni anche nelle cliniche accreditate, però, le attese sono schizzate all’insu. Nel privato per l’eco-doppler, si diceva, bastano 2-3 giorni. Ma in regime di convenzione, servono 4-5 mesi, spesso di più. Come nel pubblico. «E questo non favorisce la proprietà, che non ha interesse a perdere tempo» argomenta l’Ugl: «Qual è il motivo di tempi così lunghi? Il tetto al numero delle prestazioni. Se la macchina della Tac, per dire, lavora di più e fa la diagnostica al doppio dei pazienti, poi che succede? Che la Regione dice no, quelle prestazioni in più non te le pago!». Ad aggravare le cose, la Regione a volte rimborsa solo il 70% delle prestazioni. E questo, sottolinea il sindacato, investe il ricorso alla cartolarizzazione del credito con la perdita del 20% dei proventi, la sopravvivenza delle piccole strutture, i posti di lavoro. Insomma, dice l’Ugl, bisogna rialzare i tetti. Tagliare gli sprechi, reinvestire sul personale. Non è facile, ma è l’unica.
Cinque mesi per una Tac alla testa. Troppo. Che fare? «La Regione deve coinvolgere il medico di famiglia, - argomenta l’Ugl, - È lui che deve decidere a chi serve la corsia di preferenza». Altro problema, il Re-call.

«A distanza di mesi, uno se l’appuntamento non se l’è segnato su un calendario, se lo scorda - spiega Secci -. Bisogna richiamare gli utenti 3-4 giorni prima. Quanti sono i distratti? Il 15-20». Uno su cinque. Non è poco.

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