Era previsto e inevitabile che il referendum per l'indipendenza della Scozia provocasse echi in diverse contrade d'Europa: a proposito delle antiche vocazioni separatiste di baschi e catalani in Spagna, delle pulsioni secessioniste dei fiamminghi in Belgio, delle velleità indipendentiste della Corsica in Francia. Per quanto riguarda l'Italia, poi, è stato ampiamente citato il possibile futuro referendum per l'indipendenza del Veneto, l'antico separatismo sardo e perfino l'apparentemente molto più innocuo - ma per questo più probabile - referendum per fare della Lombardia una regione autonoma. Quest'ultimo progetto è firmato dalla maggioranza Lega-Forza Italia al Pirellone ed è fortemente voluto dal presidente leghista Roberto Maroni, anche come surrogato della sua promessa elettorale - francamente velleitaria - di trattenere in Lombardia il 70% delle tasse pagate dai lombardi. Si tratta, forse, di una ripresa della migliore «tradizione» federalista della Lega, progressivamente tralasciata - a partire dalla rottura di Umberto Bossi con di Gianfranco Miglio - a vantaggio delle praticacce (poltrone e soldi) tipiche di «Roma ladrona» e di una concentrazione quasi monomaniaca sulle battaglie anti-immigrati. Ben venga, dunque, il rilancio di quella tradizione federalista. D'altra parte proprio il Dna leghista e maroniano del progetto è sufficiente perché l'opposizione di centrosinistra, senza neppure entrare nel merito, lo consideri insopportabile. Quel referendum non serve a niente - dicono Umberto Ambrosoli e compagni con i soliti giornalisti amici - perché per concedere lo statuto di autonomia serve una legge costituzionale, con i suoi lunghi tempi di approvazione e le sue complicate procedure. L'argomento è capzioso: è evidente che il referendum rappresenterebbe una formale solenne e ineludibile richiesta popolare. Richiesta che non potrebbe essere impunemente ignorata se, ad esempio, fosse avanzata dal 60 o 70% degli elettori. In questo senso, quindi, il referendum non sarebbe inutile. Ancora più debole, poi, è l'obiezione che riguarda i costi della consultazione. Obiezione qualunquista e populista. Quando mai, infatti, a sinistra hanno sostenuto che i soldi spesi per votare sono soldi sprecati? Evidentemente lo sono solo se la consultazione non è proposta da loro. E d'altra parte, portando alle estreme conseguenze questo argomento, quali e quante elezioni o consultazioni popolari sarebbero «finanziariamente giustificate»? E chi lo decide? Il fatto è che questa opposizione in Consiglio regionale non ha la forza e il coraggio di bocciare apertamente l'idea di uno statuto di autonomia per la Lambardia, sapendo che si tratta di un'idea strutturalmente giustificata e soprattutto molto popolare. Perciò non le rimane che contrastarla con argomenti inconsistenti.
In altri termini: se, come dicono, Ambrosoli e compagni non sono contrari «in linea di principio» ad una maggiore autonomia della nostra Regione, cosa propongono in alternativa al referendum, per ottenere questa maggiore autonomia? Quali azioni, quali iniziative, quali strumenti? Chiacchiere, se va bene. O, più probabilmente, un definitiva archiviazione nel dimenticatoio dei progetti fastidiosi. Celebrare il referendum servirebbe anche ad evitare quell'archiviazione.
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