Londra-Teheran, è crisi diplomatica Altri 5 giorni per esaminare il voto

Tre milioni di voti che ballano? Inezie. Cinquanta distretti su 176 con più voti che elettori? Bazzecole. Le contestazioni dei candidati sconfitti? Bagatelle. E allora perché ricontare o rivotare, via libera piuttosto all’insediamento del presidente già fissato per la fine di luglio o i primi d’agosto. A confermare il secondo mandato presidenziale di Mahmoud Ahmadinejad ci pensa quello stesso Consiglio dei Guardiani che lunedì ammetteva l’esistenza di problemi negli scrutini. Ma che sarà mai? Certamente «non brogli e non irregolarità elettorali e dunque non c’è alcuna necessità di procedere all’annullamento delle elezioni - spiegava ieri un portavoce dei 12 guardiani. Anche l’intervento della Suprema Guida Alì Khamenei che concede altri cinque giorni per garantire tutte le verifiche sembra più un’illusione che un’opportunità.
Il capo dell’opposizione Mir Hossein Moussavi e i suoi milioni di seguaci convinti di poter tornare al voto sono serviti. Restano da sistemare i ribelli convinti di poter scendere in piazza per contestare verdetti del regime. «I protagonisti dei disordini devono essere trattati in maniera esemplare e a questo penseranno i nostri magistrati» - spiega Ebrahim Raisi, un alto esponente del potere giudiziario preannunciando la costituzione di tribunale speciale incaricato di punire con sentenze durissime dissidenti e contestatori.
Anche i calciatori «coraggiosi» scesi in campo mercoledì scorso contro la Corea del Sud esibendo un braccialetto con i colori dell’ «onda verde» di Moussavi hanno poco da star allegri. Stando alle gazzette di regime Ali Karimi, Mehdi Mahdavikia, Hosein Ka'abi e Vahid Hashemian si son già guadagnati la messa al bando a vita da tutti i campi di calcio iraniani. Sul fronte internazionale l’addio più gravido di conseguenze è l’espulsione di due diplomatici britannici accusati di spionaggio. Alla misura, decisa dopo le durissime tensioni con Londra e una dimostrazione, ufficialmente non autorizzata, davanti alla missione britannica a Teheran, risponde il premier inglese Gordon Brown ordinando «l’espulsione di due diplomatici iraniani dall’ambasciata di Londra».
Nella capitale iraniana l’ «onda verde» di Moussavi intanto tira il fiato. Gli almeno 17 morti, gli innumerevoli feriti, le centinaia di arresti, le legioni di poliziotti accampati nella capitale, le minacce di pasdaran e Basiji, sembrano fiaccare la protesta. Lo stesso preoccupato Moussavi raccomanda dal suo sito internet di non affrontare più il governo nelle piazze e di trovare nuove forme di protesta come la paralisi del bazaar e lo sciopero generale.
Anche le trame istituzionali di Alì Akbar Hashemi Rafsanjani, il grande rivale di Khamenei presidente del Consiglio degli Esperti, procedono a rilento. Rafsanjani avrebbe il sostegno di 50 degli 86 ayatollah del Consiglio a cui spetta sia la nomina, sia la teorica «rimozione» della Suprema Guida, ma si guarda bene dall’agire. Il vecchio «padre della rivoluzione» conosce bene la differenza tra una semplice convocazione del Consiglio e un voto per mettere da parte, con un’operazione mai sperimentata prima, la massima autorità del regime. Per convocare e discutere bastano cinquanta firme, per votare e cambiare il corso della storia bisogna garantirsi il seguito dei generali dei pasdaran e dell’esercito. A dargli una mano potrebbe arrivare il presidente del parlamento Alì Larijani. L’alto esponente conservatore, già in rottura con il presidente, viene duramente attaccato da Vatan e Emrouz, un quotidiano controllato da Ahmadinejad, e accusato di aver criticato le violenze dei basiji contro gli studenti dell’Università di Teheran.

E per meglio alimentare i suoi sospetti il giornale pubblica le foto di un’incontro riservato tra Rafsanjani e Larijani. L’immagine icona dell’unica alleanza in grado d’infliggere un colpo fatale all’attuale sistema di potere.

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