Lucia di Lammermoor, un amore alla Scala

Il libretto tratto dal romanzo di Walter Scott rappresentazione dell’umanità

Elsa Airoldi

Sussurri di timpani, misteri di corni… Lucia di Lammermoor è gia tutta lì, nel suo Preludio. Come nelle rovine che Pier'Alli, regista, scenografo e costumista, utilizza tutte le volte che può. Il romanticismo che parte dalla Scozia e si attesta in Germania da noi dilaga soprattutto nel melodramma. Dove infatti vengono accolti molti suoi temi. Amore, morte, notte, fantasmi, brume nordiche. medioevo momento storico proiettato nelle tensioni politiche ottocentesche.
Lo stile gotico diventa un logo. L'obbligo al quale non si sottrae nemmeno il Pier'Alli della Lucia scaligera del '92. La stessa del'97 e di questa sera. Anche se lui, nella sua foga, cita San Galgano, meraviglia senese a cielo aperto, in Lucia tutto è appunto gotico. Il castello di Ravenswood, razzia degli Ashton, la torre di Wolferag dove il Ravenswood si rifugia. Le sale del castello dominate da un impressionante slancio ascensionale anche accentuato da scalinate, costoloni, bifore.
Quella della scena del matrimonio, con la parete spezzata come la mente della protagonista. E l'altra, della pazzia, altissima e resa ancora più surreale dalla rapidità della scalinata. Un vero e proprio contraltare alla fragile e lacerata umanità di Lucia. Il cimitero dalle tombe aguzze.
Lucia di Lammermoor, il titolo più importante di Donizetti, nasce in una manciata di settimane dopo il ritorno a Napoli da Parigi. È il 1835 e il compositore, che a Parigi ha visto il suo Marin Faliero perdere punti nel raffronto con I Puritani di Bellini, si propone di scrivere il capolavoro. Ci riesce. Lucia ha un successo strepitoso, diventa un'icona romantica e borghese (Flaubert la inserisce in una celebre pagina da Madame Bovary), non esce mai dal repertorio. Il colore cupo e avvolgente è illuminato da scaglie di luce.
Come il vibrare delle corde dell'arpa, o, nell'attuale edizione, la trovata organologica di Roberto Abbado, il direttore, che ripristina, con relativi effetti stranianti, la Glasharmonika indicata in partitura e presto sostituita con il flauto dallo stesso Donizetti. Se Lucia è caratterizzata dalla ricerca timbrica, dal numero degli ariosi che sostituiscono i recitativi, dalle famose scene drammatiche tra la quali quella della pazzia è paradigmatica, l'opera ha un suo rilievo anche per la vocalità.
Belcantistica, ma funzionale all'azione, quella del soprano (alla prima del San Carlo Fanny Tacchinardi Persiani e alla prima scaligera anche Giuseppina Strepponi), rivoluzionaria quella del tenore. Donizetti costruisce il ruolo su Gilbert Duprez, il cantante che codifica il do di petto "naturale" (prima di lui i tenori erano in voce nel registro medio-acuto e poi salivano in falsetto).
Il libretto è tratto dal romanzo gotico The bride of Lammermoor di Walter Scott. Il bardo scozzese. Salvatore Cammarano e Donizetti, per motivi drammaturgici e di censura, isolano la vicenda amorosa lasciando religione e storia (il momento che accorpa Inghilterra e Scozia nella Gran Bretagna) di sfondo. Ma quell'amore basta a sostanziare l'intera opera, che sviluppa in crescendo l'instabilità emotiva della protagonista. Fino alla follia e alla morte. Una morte romantica naturalmente. Una volta lassù lei potrà avere per sempre Edgardo. Che infatti non esita a raggiungerla togliendosi la vita davanti alla tombe degli avi suoi. «Se divisi fummo in terra ne congiunga il Nume in ciel».
Lucia di Lammermoor, che nel 1839, in occasione delle consacrazione parigina, subisce sostanziali variazioni, arriva alla Scala quasi subito. Nel secolo appena concluso l'accolgono Toscanini e Marinuzzi, Karajan e Votto.
E, particolare forse non casuale, Claudio Abbado. Che, al suo primo 7 dicembre, apre con Lucia la stagione che lo vede direttore musicale del teatro. Che Abbado junior, al debutto operistico al Piermarini o giù di lì, non ne abbia tenuto conto?
Roberto Abbado, che con la sua armonica a bicchieri nella scena della follia getta le premesse di una gara vocale degna della fantasia del Marino, propone un'integrale che riapre quasi tutti i tagli, scena dalle torre inclusa, indica in Serafin il modello discografico di riferimento e sceglie come Lucia Patrizia Ciofi.

Un cantante di grande e interiorizzata espressività. Una insomma che in qualche modo gli somiglia. Accanto a lei Ramon Vargas-Edgardo, Roberto Fronatali-Enrico, Antonio Gandia-Arturo, Giorgio Surian-Raimondo. Il Coro è diretto da Roberto Casoni.

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