Ho visto l’altra sera su Raidue un bel vintage su Lucio Battisti e mi
sono accorto che Battisti è davvero l’ultimo mito italiano. Unisce le
generazioni come nessuno dopo di lui, unisce da nord a sud, da destra a
sinistra, élite e popolo, anima collettiva e intimità privata, canta
un’epoca e ciascuna biografia.
Vorrei perciò ricordarlo in una
veste strana, nel 150º dell’Italia unita, come il testimonial estremo
dell’anima latina, italiana e mediterranea. Vorrei ricordarlo, pur
nella sua ritrosia, come patriota dell’Italia estrema.
Abbiamo sempre rimosso una cosa: Lucio è un mito italiano ma solo
italiano, non ha sfondato nel mondo, anche col suo trasloco a Londra
il suo successo non fu tradotto. Restò nostrano, celestiale e
provinciale, mitico e locale.
Battisti ci aiutò a riannodare i
rapporti col nostro tempo, pur non amandolo, e con le nostre
coetanee. Accompagnò i primi balli appassionati, tu chiamale se vuoi
erezioni... Nell’epoca dell’invadenza del politico e del collettivo,
evocò emozioni e mondi interiori; ci attaccammo a quelle storie d’amore per cantare le nostre e riabilitare l’universo a due in piena orgia da corteo.
Battisti fu il ponte fra il canto libero e la tradizione, fra leggerezza e intensità.
Ci riportò nel nostro tempo a cavallo del mito, tra ritmi, parole e vestiti di quegli anni; dimostrò che si può essere romantici nell'epoca cinica della tecnica o nell’era ideologica della lotta armata.
Poi quella voce così diversa che ripara la gioventù dall'ingiuria del tempo e che ti fa volare...
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