Macchè Cuba, per l’Onu il male è l’Italia

Un consulente per i diritti umani delle Nazioni Unite dimentica i giornalisti trucidati dai vari regimi del mondo e attacca il nostro Paese: se passa il ddl la democrazia è a rischio. Frattini: "Sono sconcertato: norme in linea con le nazioni liberali"

Cuba libre e l’Italia con il bavaglio. Accadono strane cose nel mondo. Erano le due e un quarto della notte e, meno di una settimana fa, Guillermo Fariñas ha portato alle labbra un bicchiere di plastica di colore rosso e ha bevuto un po’ d’acqua. Non avveniva da 134 giorni. Questa è Cuba, dove i giornalisti si lasciano morire di fame e di sete perché scrivono quello che vedono o pensano in un blog o in un foglio in ciclostile. Lì, nell’isola di Fidel e di Raùl, ci sono ancora liste di proscrizione. Basta poco per finire in carcere e uscirne, se va bene, dopo vent’anni. Basta scrivere articoli per giornali stranieri o online. Basta un bit. Arrivano i guardiani della revoluciòn e ti prendono, pestano a sangue, chiudono a chiave. I nomi dei dissidenti sono carichi di cicatrici e molte croci. Si chiamano Guillermo, Yosvani Anzardo Hernandez o Moran, Carmona, Sainz, Avila, Acosta, Ocana o Yoani Sanchez, voce della generazione Y. Si chiamano Orlando Zapata Tamayo, che per la libertà si è lasciato morire. Tutto questo accade da sempre. Forse è per questo che i fari delle Nazioni Unite non si accendono lì, nei Caraibi, dove si muore, ma illuminano in un giorno caldo e appiccicoso l’Italia di Berlusconi. I caschi blu non sbarcano a Cuba, ma a sentire il chiacchiericcio politico di Montecitorio e dintorni sono pronti a circondare il Mediterraneo.
Tutto comincia di buon mattino, quando il professore Frank Le Rue, che lavora gratis come consulente per il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, lancia un’allarme disperato. Se passa la legge sulle intercettazioni addio libertà di stampa. Servono appunto i caschi blu. E il professore annuncia che il prossimo anno verrà inviata in Italia una missione dell’Onu.
Il resto può attendere. Questo è l’effetto che le parole di Le Rue creano da queste parti. L’Italia è il caso. Non la Cina. Non il Venezuale di Chavez. Non la Corea di Kim Jong Il. Non Cuba, che pure ha un posto nel Consiglio dei diritti umani. Non l’Iran, che fino a qualche mese fa bussava per una candidatura. L’Italia. Ancora l’Italia. E qui succede di tutto. Il ministro degli Esteri Frattini cerca di far capire al mondo che l’Onu ha gli occhiali distorti e invita, «sconcertato e sorpreso», i signori del palazzo di vetro a leggere il testo prima di parlare. E aggiunge: «In ogni Paese liberale e democratico non è consentito alla pubblica accusa di divulgare prima della sentenza definitiva elementi di indagine che devono restare segreti. In democrazia si tutelano anche i diritti degli indagati». L’opposizione accusa Frattini di voler dichiarare guerra a l’Onu. Il procuratore antimafia Grasso commenta l’arresto di 300 persone con queste parole: «È stata violata la privacy di molti ’ndranghetisti». L’Onu in serata ci ripensa e scarica il professore: «È un esperto autonomo». Fa caldo e si sente.
Una cosa sta cominciando comunque a diventare evidente. Questa legge sulle intercettazioni fa bene agli antiberlusconiani. Ci si abbeverano. Evocano il regime. Si vestono da martiri. Gridano che la libertà è morta. Piangono. Esagerano. Si strappano i capelli. È perfetta, insomma, per mettere in scena il solito copione. Una legge con molti tarli diventa così una bandiera del male. Non ci si limita a dire: non mi piace, non mi convince. No, qui è tutto rosso e nero. Le voci di un’Italia sull’orlo del bavaglio diventano un passaparola e puntano verso l’estero. Il gioco è facile. Questo è un Paese che si riflette sempre davanti a uno specchio deforme. Sono anni che si parla di limitare la fuga di notizie dalle procure, le parole rubate scaraventate in prima pagina, la necessità di evitare processi mediatici. Ora tutto questo è diventato un sì o un no alla dittatura. C’è qualcosa che non funziona.

Si può ancora dire che questa legge magari non ci piace ma che l’Italia non è Cuba? Si può chiedere all’Onu di risparmiarci i caschi blu? Qualsiasi tentativo di ragionare sulla legge e sulle intercettazioni in questo modo diventa grottesco. L’Onu, ancora una volta, non è la soluzione.

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