«Macché Rossi: il migliore era Bruno Conti»

Paolo Brusorio

«Il Brasile sarà favorito sempre e comunque perché ha vinto cinque volte i mondiali. Basta questo per fare di noi ogni volta la squadra più temuta. Penso che farebbe piacere anche a voi italiani partire favoriti tutte volte. O no?». La domanda di Leo Junior non è affatto retorica. Perché la musica ormai l'abbiamo imparata a memoria, più la partenza è difficile, sottotraccia, di nascosto, e più la nazionale azzurra va avanti. Non succede sempre, ma quando capita va così. Lo chiamano lo spirito dell'82. L'Italia è campione del mondo per la terza volta, 3-1 alla Germania in finale. Rossi Tardelli e Altobelli è la metrica che rimbomba nelle piazze, tutti ricordano tutto di quel mondiale: dov'erano e con chi, cosa mangiavano, in quale fontana sguazzavano. Persino quelli che schifarono la finale ricordano il film visto quella sera. Irripetibile 1982. La vigilia è un pianto greco, nell'ultima amichevole lo Sporting Braga sembra il Real Madrid. Nessuno giocherebbe una lira sull'Italia se non puntando sulla sua eliminazione. Bearzot dà fiducia a Paolo Rossi fresco di purga per il calcio scommesse, il ritiro di Vigo è un fortino, lo scudo è il silenzio stampa. Parlano solo Bearzot e Zoff: e non sono mai lunghi discorsi. Le secche con Polonia (0-0), Perù (1-1) e Camerun (1-1); il nirvana con Argentina (2-1, Tardelli e Cabrini) e Brasile (3-2, triplo Rossi); la sicurezza con la Polonia (due volte Pablito) e la Storia con la Germania. Flash: Pertini al Bernabeu, poi lo scopone sull'aereo con Bearzot, Zoff e Causio: Rossi hombre del partido.
Anche Leo Junior, difensore di quel Brasile stecchito nel torrido catino del Sarrià il 5 luglio dell'82.
«Chiusi in un castello vicino a Siviglia tenevamo d'occhio Argentina, Francia, Germania e Italia».
Chi era il vostro leader?
«Ogni cosa era discussa tra Oscar, il capitano, Zico, Socrates, Falcao e il sottoscritto».
Il ct era Tele Santana, da poco scomparso. Che genere di allenatore era?
«Il più giusto tra quelli avuti. Nelle sue scelte non guardava i nomi, ma la forma. Basta ricordare che Falcao, titolare nell'82, rimase in panchina nell'86».
A quale tecnico italiano assomigliava?
«Forse a Galeone, l'unico con una mentalità davvero offensiva. Ricordo bene il suo Pescara. Il 95% degli allenatori italiani pensano prima a difendere, è una questione di cultura. Prendete la squadra del 2002: con tante punte di qualità, Trapattoni non ha mai provato a giocare all'attacco. Se avesse in squadra Totti, Vieri, Del Piero, Gilardino un tecnico brasiliano farebbe almeno un tentativo».
In quel Brasile giocava Socrates: fumava anche durante il mondiale? E la sua democrazia?
«Durante la preparazione Socrates si concedeva solo tre sigarette al giorno: per questo era in forma strepitosa. E in quel periodo non si parlava quasi mai di politica, si respirava calcio, lì dentro».
Che idea vi eravate fatti dell'Italia?
«Andammo al Sarrià per vedere la partita contro l'Argentina. Ci impressionò per come vinse, vedemmo una squadra completamente diversa da quella del primo turno».
Dopo aver battuto 3-1 l'Argentina di Maradona, eravate convinti di aver superato l'ostacolo più importante?
«Erano i campioni in carica e sapete quanta rivalità ci divide. Quel giorno abbiamo fatto una buona partita, ma non eccellente. Avevamo ancora negli occhi il successo dell'Italia, sapevamo che sarebbe stata dura».
Chi erano gli uomini più pericolosi tra gli azzurri?
«Zoff, Scirea, Cabrini, Antognoni, Tardelli, Graziani e Conti».
Intervallo, 2-1 per l'Italia: a che punto erano le vostre speranze?
«Sapevamo di potercela ancora fare. Tanto che abbiamo pareggiato e creato altre occasioni».
E allora, che cosa successe?
«Rossi è stato bravo a sfruttare le occasioni e l'Italia ha sbagliato pochissimo. Sia in attacco, sia in difesa».
Brasile fuori dal mondiale: che cosa accadde negli spogliatoi?
«Avevamo fatto il massimo, senza risparmiare una goccia di sudore e senza aver sottovalutato l'Italia. Giovani come Leandro e Luisinho piangevano, toccò a noi più esperti spiegargli che quello era il calcio».
Altafini dice che il vostro Brasile ha perso perché giocava sui tacchi a spillo.
«José ogni tanto dice delle enormi scemenze».
Fu la supremazia del catenaccio sulla fantasia?
«È un discorso sbagliato. Noi abbiamo giocato come sappiamo e voi pure. Anche se sono passati 24 anni, in ogni parte del mondo che ho visitato parlano ancora del Brasile dell'82».


L'Italia ha meritato di vincere?
«Giustizia e merito nel calcio contano pochissimo. Valgono i risultati».
Come vi accolsero in Brasile dopo l'eliminazione?
«Benissimo. Andai via tra gli applausi».
Chi fu il miglior giocatore di quel mondiale?
«Bruno Conti».

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