I magistrati scioperano perché non vogliono la riforma della giustizia. Non è che scioperano per la quarta volta perché sono contrari a «questa» riforma, alla riforma dell'ordinamento giudiziario disordinatamente messa insieme dalla Casa delle libertà e faticosamente portata avanti per quattro anni e rinviata al Parlamento dal presidente della Repubblica per presunti difetti di costituzionalità e corretta dalle Camere alla meno peggio, e che dovrebbe essere licenziata definitivamente dalla Camera la settimana prossima: una riforma che secondo i magistrati minaccerebbe l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. I magistrati, e per dire meglio il loro sindacato e le loro correnti, sono contrari a qualsivoglia riforma della giustizia che minacciasse anche minimamente i privilegi di carriera e gli strapoteri del Csm accumulati durante la prima Repubblica, che crebbero parallelamente alla corruzione e all'impunità dei politici: non è che si trattò di uno scambio di favori?
Privilegi e strapoteri che i magistrati non vogliono assolutamente mollare, che sia la destra o la sinistra a volerli toccare: non furono i magistrati a far saltare la riforma della giustizia messa in cantiere nella passata legislatura dalla Commissione bicamerale, in maggioranza di centro-sinistra e presieduta da Massimo D'Alema? Anche D'Alema e il centro-sinistra minacciavano l'indipendenza e l'autonomia della magistratura? Anche allora lo spauracchio agitato dalla propaganda ideologica dell'associazione dei magistrati era la presunta separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti e l'ancor più presunta soggezione delle procure al potere esecutivo. Non c'era niente di questo nelle bozze di riforma predisposte dalla Commissione D'Alema e via via «corrette» in base agli input dei magistrati (e senza mai soddisfarli) e assolutamente niente di questo c'è nella riforma del centro-destra: al punto che contro questa riforma, e proprio perché manca la separazione delle carriere, scioperano anche gli avvocati.
Il presidente dell'Unione delle Camere penali Ettore Randazzo rinfaccia ancora al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di avere promesso che dopo la sua riforma «i Pm sarebbero dovuti andare dal giudice con il cappello in mano», come ora tocca invece agli avvocati. Oggi, più modestamente, il presidente del Consiglio si limita a dire che «la riforma è assolutamente necessaria, anche se non è entusiasmante». E si può capire che non ritenendo garantita la terzietà del giudice contro la riforma scioperino gli avvocati. Ma perché scioperano i magistrati? Non c'è contraddizione? I magistrati scioperano perché la riforma mette fine al loro avanzamento in carriera soltanto per anzianità, dal concorso iniziale a primo presidente della Cassazione senza più dover superare alcun esame, qualsiasi cosa facciano, quanti che siano i processi che perdono se inquirenti, gli errori giudiziari in cui incorrono se giudicanti: un'organizzazione unica al mondo, considerata un vero scandalo da studiosi di diversi indirizzi culturali e diverse ideologie.
La riforma prevede concorsi per titoli e periodiche verifiche di professionalità, in modo da fare avanzare i bravi e da respingere indietro gli incompetenti e gli incapaci. Certo, il sistema può rivelarsi macchinoso ma è sempre meglio la carriera per merito che quella per anzianità. Semplificando forse eccessivamente, nel calore della discussione al Senato, il ministro della Giustizia Castelli ebbe a esclamare: i magistrati che vincono i processi saranno promossi, quelli che li perdono saranno bocciati. L'opposizione protestò vivacemente accusandolo di voler intimorire i Pm e di inficiare l'obbligatorietà costituzionale dell'azione penale. Ma anche Giovanni Falcone diffidava i suoi colleghi dalla fregola dell'azione penale a tutti i costi, anche in assenza di prove sufficienti per la condanna.
La migliore idea di questa riforma è che affida il tirocinio, la formazione e l'aggiornamento del magistrato alla Scuola superiore della magistratura, un ente con autonomia giuridica, organizzativa e funzionale dove trovano posto tutte le professionalità giuridiche, in modo che la formazione del magistrato accolga stimoli provenienti dalle altre professioni legali: ed è l'idea maggiormente avversata dal Csm, che vede così infranto il proprio monopolio sulla formazione dei magistrati, monopolio conquistato per prassi negli ultimi decenni e non previsto dalla Costituzione.
Originariamente la riforma faceva dipendere dal giudizio finale e decisivo della Scuola le promozioni e i cambi di funzione, ma questo è stato uno dei punti su cui è intervenuto il presidente della Repubblica richiamando la Costituzione, che riserva assegnazioni, trasferimenti e promozioni dei magistrati al Csm; e nella nuova formulazione la legge di riserva attribuisce al Csm l'ultima parola. Ammesso che i consiglieri del Quirinale abbiano ragione (ma «una» interpetrazione della norma costituzionale è la loro, ne sono possibili altre), che razza di sistema è questo per cui i concorsi per l'avanzamento sono controllati dall'organismo eletto e controllato dagli stessi magistrati che partecipano ai concorsi? E ai magistrati nemmeno gli basta, scioperano anche dopo la correzione.
I concorsi per la carriera e la scuola «esterna» al Csm sono i due punti più indigesti per i magistrati: ma come si fa a dire che minacciano l'indipendenza e l'autonomia della magistratura? Per restare indipendenti e autonomi i magistrati non devono andare a scuola e non devono fare gli esami? Quanto alla polemica per il cosiddetto emendamento Caselli, quello che impedisce di conferire incarichi direttivi al magistrato che ha non ha ancora da fare almeno quattro anni di servizio al momento di assumere il nuovo incarico e che quindi impedirebbe all'ex procuratore di Palermo di assumere la Direzione nazionale antimafia, siamo al classico «molto rumore per nulla». Si può discutere sull'opportunità di inserirlo all'ultimo momento nella legge, ma non è certo un problema costituzionale. Anzi, non è un problema per niente. Caselli nessuno lo vuole alla Dna, a cominciare dai suoi colleghi di Magistratura democratica che gli preferirebbero cento volte l'attuale procuratore di Palermo Piero Grasso. Può persino succedere che Caselli finisca per essere nominato alla Dna proprio grazie a questo emendamento. Ma anche in questo caso niente di grave, tranne il fastidio di rivederlo tutte le sere a sproloquiare in televisione.
La Direzione nazionale antimafia conta molto poco, non ha né le competenze né i poteri che le voleva dare il suo inventore Giovanni Falcone, contro cui insorsero proprio Caselli e altri 60 magistrati accusandolo di voler minacciare l'indipendenza e l'autonomia delle procure (l'accusa è sempre la stessa), gli stessi magistrati che hanno firmato la protesta per l'esclusione di Caselli. E il Csm ricorrerà, magari contro voglia, alla Corte Costituzionale, come ha fatto per bloccare la legge che risarcisce l'ex presidente della Cassazione Corrado Carnevale per la persecuzione subìta. La logica dell'attuale «indipendenza e autonomia» della magistratura italiana è questa: Carnevale fuori, Caselli dentro.
Questa riforma non è niente di eccezionale, ha molti difetti e qualche pregio. Ma se servirà a promuovere i magistrati come Carnevale e a bocciare quelli come Caselli, la magistratura italiana ci guadagnerà, e con la magistratura ci guadagnerà il Paese tutto.
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