«Mai stato un invertebrato. E la critica mi premia ora»

Da giovane non andavo in via Veneto per atteggiarmi

«Mai stato un invertebrato. E la critica mi premia ora»

RomaL’omaggio a Gualtiero Jacopetti poteva avvenire alla Mostra di Venezia, presentando il documentario di Andrea Bettinetti su di lui, L’importanza di essere scomodo; o poteva avvenire al Festival di Roma con la stessa formula. Invece giunge oggi, come dopo-Festival, auspice il Comune di Roma, mentre riappaiono i classici di Jacopetti: Mondo cane, La donna nel mondo, Africa addio (dvd Medusa). L’omaggio a Jacopetti, condotto da Piera Detassis e Mario Sesti, comincia alle ore 20 alla Casa del cinema, largo Marcello Mastroianni. Si riaccostano i nomi del comunista Mastroianni, militare nell’esercito fascista del Nord, e del monarchico Jacopetti, ufficiale nell’esercito antifascista del Sud. Coincidentia oppositorum. Un destino. Infatti Jacopetti, già direttore del settimanale Cronache (archetipo dell’Espresso), parve il modello del personaggio di Mastroianni nella Dolce vita.
Signor Jacopetti, era vero?
«Da giovane ero tutto tranne che un invertebrato vagante per la Roma di via Veneto, dove ci si atteggiava per i fotografi, come oggi per Il Grande fratello».
Ma Fellini le aveva già offerto un ruolo nelle Notti di Cabiria...
«... E io rifiutai. Avevo recitato - per amicizia verso Steno - in Un giorno in pretura, però non mi vedevo attore».
E così la parte passò da lei ad Amedeo Nazzari.
«Che la fece benissimo: incarnava un attore del cinema d’epoca fascista, come lui era realmente stato».
Allora chi si cela dietro il personaggio di Marcello invocato da Anita Ekberg?
«L’alter ego di Fellini con qualcosa di Mastroianni. Anche Fellini era stato giornalista nel settimanale Marc’Aurelio».
Dalla Mostra - che mai invitò i suoi film e quelli di Sergio Leone - Dino Risi, anche lui mai invitato, fu premiato per la carriera.
«Lo ricordo. Mi pare che sia stato nel 2003, quasi mezzo secolo dopo Il sorpasso... La critica talora impiega un po’ di tempo per capire un autore».
Sa che cosa mi disse Risi in proposito?
«Immagino qualcosa come “è assistere al proprio funerale”».
Lei è meno intransigente del suo amico Leo Longanesi, per il quale «i premi non basta rifiutarli, occorre non meritarli».
«Però Longanesi ne accettò uno proprio in mia presenza! Leo era una fucina di battute, a seconda delle necessità».
Sa la differenza fra lei, Chaplin, Huston e Welles?
«Che io non sono anglosassone?».
Che i film su di loro sono postumi.
«Allude all’Occhio selvaggio di Paolo Cavara? In effetti uscì nel 1967».
Allora lei era amico di Indro Montanelli.
«C’eravamo conosciuti vent’anni prima in piazza del Duomo a Milano, dove tenevo un comizio anticomunista arrampicato su un lampione».
Dal 1974 lei ha collaborato al Giornale.
«E sul Giornale, nel 1984, uscì un mio articolo sul documentario Operazione ricchezza che si vedrà stasera».
Lei era autore di film di immenso successo. Perché questo rimase inedito?
«Me l’aveva proposto l’imprenditore viareggino Barsanti, emigrato in Venezuela.

M’ero imbarcato nel dopoguerra su un peschereccio da lui recuperato e venduto in Venezuela».
Montanelli vide Operazione ricchezza?
«Sì, con la moglie Colette, in una proiezione privata».
Perché è stato il suo ultimo film?
«Col cinema m’ero divertito. Volevo averne un bel ricordo».

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