Marco Minghetti, il liberale «temperato»

Uno prende in mano il bel libro (edizioni Ibl), curato da Riccardo Piccioni, Marco Minghetti e il liberalismo temperato e si rende conto cosa fosse la nostra classe dirigente nella seconda metà dell'800. Una certa retorica resistenziale ha distrutto i primi venticinque anni del nostro Regno. Che invece espressero una classe dirigente e un pensiero che non siamo più riusciti a riprodurre. Quello del Regno d'Italia e dei suoi esponenti è un periodo storico che sembra non essere mai esistito, relegato a qualche svogliata paginetta nei sussidiari (se esistono ancora). Minghetti, dopo Cavour, ne fu uno degli esponenti più cool. Altro che Moro, La Pira e Fanfani. Veneriamo i cosiddetti padri della Repubblica, dimenticando che prima c'è stato un Regno. Più volte ministro, e presidente del Consiglio, esponente di spicco della Destra storica, Minghetti trovò il tempo per scrivere dei testi di economia (ma non solo) di alto livello scientifico. Quello che pubblica Ibl è una raccolta. Tralasciamo, solo per esigenze di spazio, le tesi del bolognese sui rapporti Stato-chiesa e sui partiti e andiamo al cuore del cosiddetto liberalismo temperato. La concorrenza «è una forma dell'umana libertà», non è altro che la libertà dell'uomo stesso. Può avere dei «sinistri effetti»; anche la libertà ne ha, ma non per questo dobbiamo abolirla. Minghetti ne smonta alcuni che con un favoloso gergo ottocentesco chiama: tramercanteggiare, accumulare e pauperismo (in un'accezione diversa da quella di oggi). Anche il commercio è condizione essenziale del nostro progresso, così come quello tra uomini è fondamentale, non è chiaro per quale motivo si debba limitare quello tra Stati.

In cosa consisterebbe il «temperamento» nel liberalismo di Minghetti, allora? Le sue posizioni non sono sempre in linea con quelle del nostro amato Bastiat, di cui proprio in questa rubrichetta abbiamo parlato, per espressa dichiarazione del Nostro. Il governo può avere un ruolo in economia per «supplire e integrare la deficiente opera dei privati, delle famiglie, delle associazioni, in quelle parti che direttamente riguardano l'utile pubblico». In verità è più o meno quanto scriveva Adam Smith.

Minghetti sa di essere su un terreno scivoloso e aggiunge perciò limitazioni stringenti all'ingerenza governativa: «1° che sia suppletiva e integrante; e però il governo si astenga dal mescolarsi a tutto ciò che può esser fatto convenientemente dai privati, dalle famiglie, dalla spontanea associazione loro; e si guardi, per far diversamente o meglio, di usurpare il compito altrui: 2° che sia temporanea; e però il governo tenga sempre a deporre il carico conferitogli dalla necessità dei tempi, e restringa di tanto le sue facoltà, di quanto va crescendo l'operosità dei privati e delle corporazioni». Se questo è il liberalismo temperato, lo siamo anche noi.

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