Mastelletta, il "romantico" in anticipo di due secoli

Allievo dei Carracci e influenzato dal Parmigianino i suoi paesaggi visionari rimandano a Friedrich

Mastelletta, il "romantico" in anticipo di due secoli

Resterà sempre misterioso come un artista ancora oggi sottostimato quale Andrea Donducci, detto il Mastelletta, abbia trovato una cifra così ostinatamente originale in assoluta solitudine. Nessun dubbio che negli anni del rinnovamento della pittura a Bologna quando Ludovico, Agostino e Annibale Carracci hanno l'intuizione di un ritorno al naturale contro le regole ormai logore del Manierismo, attraverso i dogmi della letteratura vasariana, Mastelletta sia tra i giovani ribelli che cercano forme nuove con le quali entreranno nel secolo che si annuncia.Nato nel 1575, figlio di Andrea che faceva i mastelli, si muove agli esordi proprio nell'accademia dei Carracci, negli anni immediatamente precedenti al 1595, quando Agostino e Annibale vanno a Roma. A Bologna resta solo Ludovico con il quale Mastelletta ha più stretta affinità.Ma un'accademia è sempre uno spazio stretto in cui l'estro individuale deve sottoporsi a regole condivise. Ed è per questo che Mastelletta dovette trovare sfogo nella raffinatissima rielaborazione del gusto di Parmigianino testimoniato a Bologna da un formidabile sperimentatore, in una «accademia alternativa»: Pietro Faccini, altro maestro dimenticato e sottovalutato.L'impronta di Parmigianino si ritrova in tutta la lunga attività di Mastelletta, e soprattutto nei soggetti religiosi, trasferita in una dimensione visionaria che si libera in modi imprevedibili nei meravigliosi paesaggi e nelle splendenti vedute. Una ispirazione capricciosa, un fortissimo individualismo, uno spirito antagonistico lo portano, anche rispetto ai maestri, a scelte autonome. Se Annibale Carracci mostra tutto il suo ossequio, anche in funzione antitoscana, per Tiziano e Veronese, Mastelletta preferirà Tintoretto.È difficile sottrarsi alla suggestione di un rapporto diretto con le grandi tele della scuola di San Rocco, in particolare la Maddalena e la Santa Maria Egiziaca. Fin dagli inizi, con il Matrimonio mistico di Santa Caterina e le Storie di Mosè nella galleria Spada, l'estro narrativo del Mastelletta appare meravigliosamente onirico con processioni di personaggi entro paesaggi incantati. Non mancano osservazioni naturalistiche e una curiosità per le attività agricole e per il mondo contadino con una sensibilità comune a Carracci, Domenichino, Scarsellino, Guercino, come si vede in idilli pastorali come l'Aia contadina, capolavoro giovanile del Mastelletta. E se, per comprendere questa interpretazione visionaria del paesaggio, si può forse risalire ai modelli di Dosso Dossi e di Nicolò dell'Abate, soltanto il soggiorno romano, già in apertura di secolo, allarga i confini dell'indomita curiosità del Mastelletta.A Roma certamente conosce Elsheimer e anche Paul Brill, Jan Pynas e anche Agostino Tassi. Osserva Anna Coliva: «A differenza di Elsheimer Mastelletta propose un paesaggio antiscientifico, antinaturalistico, visionario, con esiti che si può azzardare a definire romantici. Eseguì composizioni in cui l'elemento paesaggistico è talmente preponderante e caratterizzato da segnare un momento autonomo nella sua produzione, almeno fino agli anni 1618-20». Si può pensare che, per qualche tempo a Roma, Mastelletta, con la sua interpretazione romantica dei soggetti biblici e religiosi e i paesaggi trasfigurati, abbia rappresentato una alternativa di «genere» a Caravaggio. Conosciamo le due grandi tele con Sansone e Dalila e L'offerta di Abigail, commissionate da Vincenzo Giustiniani e ora in casa Busmanti a Bologna. A Roma, d'altra parte, Mastelletta rimane fino alla morte di Caravaggio, alla cui realtà contrappone il suo sconfinato sogno, i suoi idilli, le sue notti trasfigurate.A Bologna Mastelletta, invece, sembra mantenersi, con grande originalità espressiva, nei soggetti religiosi tradizionali. Ne dà prova nelle grandi commissioni per le chiese di San Francesco e San Domenico, mentre a Bologna è legato pontificio un Giustiniani, Benedetto, per la famiglia del quale aveva lavorato a Roma. In San Domenico dipinge, a fianco di maestri come Guido Reni, Lionello Spada, Alessandro Tiarini, grandi tele per la cappella dell'Arca. Ma il ricordo di lui, e della sua pittura teatrale e drammatica, con luci livide nelle sacre rappresentazioni, è soprattutto vivo nella liberazione dell'anima in paesaggi infiniti, nei quali si dissolvono come piccoli episodi i grandi soggetti di figura. Penso all'Offerta di Abigail nello zoom del grande dipinto in collezione Busmanti, allontanata fino a perdersi in uno dei due lirici paesaggi ora a Faenza. Fughe in Egitto, martiri di santi, sacre famiglie assistite dagli angeli, battesimi di Gesù, trionfi, si disperdono in paesaggi meravigliosi e sconfinati, con architetture lontane, ghiacciai, boschi, dove l'occhio si perde sotto luci lunari.Nessun pittore si è perduto, con lo spirito di un poeta romantico, in paesaggi così sconfinati, dove noi ci trasfiguriamo in un'estasi visiva che avrebbero condiviso, conoscendolo, i surrealisti che tanto si esaltarono per Arcimboldo. Mai nessuno, come Mastelletta, ha mostrato tanta meraviglia di fronte alla visione della natura. Ne avevano dato segno Raffaello nella Pala di Foligno, e poi Parmigianino nei fondali argentini delle sue Sacre Famiglie, e ancora Dosso Dossi, sublime pittore di lontananze.

Mastelletta trasporta tutto in un sogno senza fine, mito, storia, episodi biblici, Maddalene pentite nel rifugio di grotte riparate in boschi remoti. Non ci sono soltanto ideale e reale, ma stati d'animo, atmosfere, allucinazioni. Questa condizione intercetta, prima di Friedrich, prima di Freud, Mastelletta, inventore del paesaggio romantico.

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