«Mastrogiacomo spinto in una trappola»

«L’Italia non ha avuto pazienza, eravamo vicini a un’altra soluzione»

da Kabul

Lo scambio di prigionieri è stata una scelta «sbagliata, che non si ripeterà mai più» e se «l’Italia avesse dimostrato maggiore pazienza, avremmo potuto trovare altre soluzioni», inoltre il ruolo svolto da Emergency viene giudicato «negativo», perché travalica l’impegno umanitario. Parola di un alto responsabile dei servizi segreti afghani che il Giornale incontra a Kabul e rivela un’altra faccia del sequestro Mastrogiacomo, vicenda che forse andrà riscritta. Rahmatullah Hanefi, il capo del personale dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, arrestato dall’intelligence afghano, è sotto interrogatorio e non sarà liberato tanto presto. «Gli stiamo chiedendo perché lo scambio con i talebani non abbia incluso Ajmal (Nashkbandi, l’interprete di Mastrogiacomo, ancora nelle grinfie dei talebani, ndr). Vogliamo anche sapere chi ha facilitato il viaggio di questo giornalista (Mastrogiacomo, ndr) nelle zone talebane. Chi gli ha detto di andare dal comandante Lal Mohammed (doveva andarci per un’intervista ed è invece scattata la trappola del sequestro, nda), chi lo ha incoraggiato?», si domanda il pezzo grosso dei servizi afghani che parla a patto di non pubblicare il suo nome.
L’incontro è avvenuto ieri mattina alle 10 alla sede dell’Nds, il National directorate for security, la potente intelligence afghana, la cui sede è nel centro della capitale.
«È stato uno sbaglio che non rifaremo mai più, di qualsiasi circostanza si tratti, non negozieremo con i terroristi. Non si tratta di un precedente, perché è stata la prima e l’ultima volta», afferma l’alto ufficiale riferendosi allo scambio di cinque o forse più prigionieri talebani con l’inviato di Repubblica ostaggio dei tagliagole. L’aspetto più grave è che, secondo la fonte del Giornale, «se l’Italia avesse dimostrato maggiore pazienza, avremmo potuto trovare altre soluzioni. Abbiamo subito forti pressioni diplomatiche per risolvere il caso il più presto possibile. Non ci hanno permesso di lavorare nella direzione che volevamo, ovvero localizzare dove si trovavano gli ostaggi. Devo dire che eravamo molto vicini a rintracciare i luoghi, così avremmo potuto imboccare altre strade», sottolinea l’uomo dell’intelligence.
Invece i servizi afghani sono stati messi da parte, come quelli italiani. «Per salvare degli ostaggi l’opzione militare è una possibilità, ma ce ne sono anche altre. Stavamo pensando a uno scambio controllato, che significa scegliere i tempi e i luoghi per ottenere il risultato voluto. Non abbiamo potuto farlo e alla fine mister Daniele è stato liberato e ne sono felice, ma Ajmal (l’interprete afghano, ndr) è ancora laggiù», osserva l’alto funzionario governativo. I servizi afghani sono stati tenuti in seconda linea «perché - dice - la controparte italiana ha chiesto che se ne occupasse la gente dell’ospedale del signor Gino Strada. A noi questa soluzione non piaceva fin dall’inizio».
Sul ruolo di Emergency i servizi afghani non hanno dubbi: «Si è trattato di un ruolo negativo, non penso che sia una buona idea che un’organizzazione umanitaria non governativa (Ong) venga coinvolta in una crisi del genere. Non hanno agito come una Ong, ma in maniera strana, molto strana. Lo abbiamo chiesto molte volte: perché interferite, come avete trovato tutti questi numeri di telefono dei talebani?». In realtà anche i giornalisti scovano i numeri dei talebani ed Emergency già in passato aveva organizzato scambi di prigionieri.
Il problema, però, è ben più complesso e getta una luce diversa sull’intera vicenda. La fonte del Giornale rivela di essere in possesso di «prove circostanziali che il giornalista italiano è stato incoraggiato ad andare nelle aree pericolose». L’arresto di Rahmatullah Hanefi, il dipendente di Emergency che ha organizzato lo scambio dei prigionieri, è legato a numerosi interrogativi: «Vogliamo sapere da lui chi ha facilitato il viaggio di questo giornalista (Mastrogiacomo, ndr) nelle zone talebane. Chi gli ha detto di andare dal comandante talebano Lal Mohammed, chi lo ha incoraggiato?». I sospetti sono pesanti, tenendo conto che Mastrogiacomo è caduto in una trappola, perché ad aspettarlo non c’era alcun comandante da intervistare, ma i suoi sequestratori.
Le accuse più gravi dei servizi riguardano il destino di Ajmal, che sarebbe ancora nella mani dei talebani. «Questo è quello che stiamo chiedendo al signor Rahmatullah, perché quando gli è stato consegnato mister Daniele ha parlato per quindici minuti da solo con i comandanti talebani. Vogliamo sapere da lui perché lo scambio non ha incluso Ajmal».
Gino Strada, interpellato giorni fa dal Giornale, su quanto fidato sia il suo collaboratore, ha messo la mano sul fuoco ipotizzando la creazione di prove false. Alla domanda se corrisponda al vero che il prigioniero sia stato torturato, il pezzo grosso dei servizi dà una risposta glaciale: «Come possono sapere se lo abbiamo torturato o no? Se ci accusano di una cosa del genere o sono dei totali bugiardi, oppure, se fosse vero, ciò significherebbe che ci stanno spiando».
Quando gli facciamo notare che in Italia sono state già raccolte 70mila firme per la liberazione di Rahmatullah, risponde: «Penso che si tratti di un’interferenza nel sistema giudiziario dell’Afghanistan.

Arrestare un cittadino afghano sospettato di qualcosa è nella nostra autorità. Nessuno ha mai detto che gli afghani impiegati da Emergency siano al di sopra della legge». Di liberare Rahmatullah in tempi brevi non se ne parla, ma i risultati dell’inchiesta saranno resi noti».

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