«Con me assessore, il Lazio sarà il Paese delle meraviglie»

Vittorio Sgarbi, pastore.
«Belle le pecore, vero?».
Davvero saliranno al Quirinale?
«Tutte in fila. Chiederò al presidente di sospendere le elezioni nel Lazio».
L’ultimo appello. Domani si vota. Che può fare Napolitano?
«La Costituzione è stata violata e lui è il garante. Rinviare di quindici giorni il voto avrebbe fatto bene a tutti. Questa campagna elettorale è troppo nervosa».
Come si chiamano le pecore?
«Esterina, Santora, Travaglia, Censura, Ordine dei giornalisti. Il pastore sono io e mi presento al Quirinale con un cartello: presepe napolitano».
In bocca al lupo. Ma siccome domani si vota forse le tocca fare l’assessore alla Cultura. Forse.
«Io dico di sì. Non pensavo di ritrovarmi in questa avventura laziale. Di solito mi muovo a Milano o in Sicilia, ma questi ragazzi ci credono. Mi hanno chiesto di fare il capolista alla Rete Liberal. L’idea mi piace e la sfida è affascinante. Qui ogni borgo, ogni centro storico, potrebbe far invidia al mondo. Sono appena tornato da Isola del Liri. È un piccolo gioiello. Che lei conosce, suppongo».
Eh sì?
«Sono passato anche al suo paese».
Alvito? Peccato che nei vicoli siano rimasti solo i fantasmi.
«È un male comune. E questa è la mia sfida. La storia di Bomarso e Civita di Bagno Regio dimostra che il destino dei borghi antichi non è segnato. Farò di tutto per far rivivere il centro storico delle cittadine laziali. Questa terra un tempo era una delle tappe del Grand Tour. Non è un’utopia riportare qui il turismo. Basta crederci».
Ottimista. Ci sono case vecchie, disabitate, diroccate, dimenticate. I romantici amavano i ruderi, i turisti sono un po’ più concreti.
«Pessimista. Quello che ho fatto a Salemi si può fare anche qui. I comuni offrono una casa del centro storico per il valore simbolico di un euro».
È una supersvendita.
«È l’uovo di Colombo. Io ti do la casa per un euro, in cambio tu la ristrutturi secondo i miei criteri».
E perché uno dovrebbe andare a vivere ad Alvito?
«E perché non dovrebbe? In un’ora sta a Roma o a Napoli e per il resto ormai la rete, la tecnologia permette a molta gente di lavorare a casa. La scrittrice Daria Galateria se ne è andata a vivere nel trapanese. Ci sono luoghi della Tuscia e del reatino che non hanno nulla da invidiare alla Toscana. Le architetture razionaliste dell’ex palude pontina sono studiate in tutto il mondo. Non è un sogno metterle in vetrina, farle conoscere, ospitare festival di letteratura, inventare mostre, trasformale in città vive di cultura e turismo. L’uno attira l’altro. Se tutti i sindaci di questi borghi si muovono come ho fatto io a Salemi possiamo farcela».
Poi deve spiegare tutto questo all’assessore al Turismo.
«Ho chiesto alla Polverini di unificare i due assessorati. Sono la stessa cosa. Non ha senso separarli».
È una poltrona in meno.
«E chi se ne frega».
Il ruolo della Regione?
«Finanziare i borghi che seguono il progetto di una casa a un euro. È necessario ristrutturare le case di proprietà comunale e acquistare quelle private. L’importante è costruire una rete di città d’arte, una federazione di piccoli mondi a misura d’uomo».
Una Disneyland del borgo antico.
«C’è gente che in vacanza a Disneyland ci va davvero. Solo che lì vendono falsi, qui non hai bisogni di inventarti nulla. Basta recuperare il passato. Riportarlo in vita, con tutti i vantaggi della modernità».
E Roma?
«Non voglio rompere le scatole a nessuno. Ma ci sono progetti che si possono realizzare senza intralciare il lavoro di chi governa la città. Le chiese, per esempio».
Pellegrinaggi nella città eterna?
«Viaggi nel tempo. Cinque percorsi. Si parte con le chiese romaniche, poi quelle rinascimentali, barocche, neoclassiche. È un capitale di storia non sfruttato. Una mostra permanente dell’arte sacra. Non solo. Lo sa quante sono le sedi dei musei civili a Roma?».
Aspetti. Google...
«Non serve. Faccio prima io. Sono 84. Quanti progetti può fare la Regione con ognuno di questi musei?».
Un segno a Roma però dovrebbe lasciarlo.

La firma di un archistar.
«Di quelli ne faccio volentieri a meno. Mi basterebbe acquistare, coinvolgendo tutti gli enti, sponsor e banche, le 650 statue dei Torlonia».
Quanto costano?
«Sui 30 milioni di euro l’anno. Per cinque anni».

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