La Fiat e la Omsa (quella della gambe per intenderci) vogliono portare la loro produzione in Serbia perché conviene. In Italia si parla solo di come trattenerle. Ma ha ragione Vittorio Feltri, sarebbe meglio cominciare a parlare di come invadere quei mercati con i prodotti nazionali piuttosto che cercare di costringere delle libere imprese a rimanere a produrre dove a loro non conviene più, cioè qui. Sarebbe molto più produttivo pensare che siamo di fronte, solo considerando i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo a un mercato potenziale di 600 milioni di consumatori (quasi due volte gli Stati Uniti) e sempre considerando che nel 2009 c’è stato un interscambio commerciale di 250 miliardi di euro. Basti pensare, tanto per intendersi, che soltanto Milano ha prodotto con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo un volume d’affari pari a 3 miliardi di euro e che l’Italia, nel suo complesso, ne ha prodotti 10. Non siamo cioè di fronte a mercati potenziali nel senso che devono essere inventati, creati dal nulla, come se in quelle aree gli abitanti non fossero già consumatori ma dovessero divenirlo. Si tratta di mercati esistenti e di consumatori in carne ed ossa, a giudicare dai volumi di affari più carne che ossa. Nel 2010 la popolazione dell’Area euro- mediterranea ha superato gli ottocento milioni di abitanti. Un mercato che è oltre la metà di quello cinese. Le stime del Fondo monetario internazionale segnalavano per l’anno in corso una crescita del Pil del 4,5% nel 2010 e del 4,8% nel 2011. Queste previsioni si stanno rivelando giuste, almeno per ora. In particolare tra i Paesi mediterranei, l’Egitto, il Libano, la Libia, la Turchia e la Siria registreranno un tasso di crescita del Pil superiore al 5%, mentre in Algeria, Giordania, Israele, Marocco e Tunisia la crescita dovrebbe assestarsi tra il 3 e il 5%. Sono dati che sono emersi all’annuale conferenza Milano Med Forum 2010 che si è tenuta nella capitale lombarda nel luglio di quest’anno. Sia nell’ultima parte del 2009 che nella prima parte del 2010 si è registrato un aumento dell’export verso tutti questi Paesi di rilevanza notevole. Vuol dire che, anche nel bel mezzo della crisi economico- finanziaria, questi Paesi hanno mantenuto una capacità commerciale indubbia. Naturalmente è sempre più facile tentare di mantenere quello che uno ha piuttosto che cercare quello che ancora non ha. Il problema è che con i mercati questo modo di ragionare non funziona e può condurre al baratro. Con i costi che gravano sul lavoro in Italia e con l’arretratezza del nostro sindacato è ben difficile immaginare che si possano creare a breve condizioni di lavoro per le imprese che siano più convenienti. Né si può pensare di costringere le imprese a rimanere là dove non possono produrre a prezzi concorrenziali. La storia dell’economia insegna una legge fondamentale. I mercati non muoiono mai. Se muoiono in un luogo emigrano in un altro. Successe nella Firenze dei Medici dove quei signorotti si adagiarono e i mercati si spostarono ad Anversa. Ci volle molto per portarli indietro e non fu più la stessa cosa. Allora più che rincorrere le imprese che vanno in Serbia converrebbe aiutare in tutti i modi le imprese italiane a vendere anche là i loro prodotti. Là e sulla sponda Sud del Mediterraneo dove ci sono già i consumatori adatti ai prodotti italiani e con dei soldi in tasca per acquistarli.
A oggi i modi per aiutare le imprese a far emigrare i loro prodotti in questi Paesi ci sono ancora. Ma anche in questo caso potrebbe arrivare qualcuno prima di noi e saturare anche quel mercato. Dopo bisognerebbe andare a cercarne altri e chissà dove.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.