Mellberg fa l’uomo gol nella Juve in riserva

RomaOccasione buttata. Bastava guardare la faccia di Ranieri per aver idea del rodimento. Stavolta non c’entra lo stellone dell’Inter, contano le stelline della Juve. Ieri si sono fatte piccole, non hanno trovato la chiave per scardinare la Lazio e metter un po’ di tensione alla squadra di Mourinho. Storie come queste alle fine si scontano. Pareggio con i gol della classe operaia. Sconfitta nel duello a distanza. Nel giorno in cui l’Inter frana, la Juve frena: è il peggior gioco di parole che potesse capitarle. E se qualcuno si consolerà pensando che comunque un punto è rosicchiato, immaginate come si consoleranno gli avversari: due punti guadagnati. Juve tenuta sotto scacco dalla Lazio, ci starebbe tutto se gli avversari fossero stati irresistibili. Ma così non è stato.
Inutile chiedere bel gioco alla Juve, il suo bello è la lotta da palude: corpo a corpo a centrocampo e ogni tanto uno squarcio di luce nel buio. Ieri sera gli avversari erano tanti: una Lazio che morde e fugge, l’idea di andare ad acquattarsi appena dietro all’Inter e che avrà annebbiato forze e idee, i timori di una difesa affidata alla vena di un ragazzino, Ariaudo, comunque niente male. Difficile giocare all’Olimpico, la Lazio è una squadra che ha gioco e goleador, tifo imponente, ambiente che ti fa soffrire sempre. Del Piero e Amauri per un tempo intero non hanno neppure tirato in porta. Un segnale che la ripresa ha confermato, nonostante un po’ di brio in più. La difesa bianconera si è affannata a tener dietro ai tre siluri di Delio Rossi: scatenato Pandev, almeno per un po’, eternamente in agguato Rocchi, fumoso Zarate che poi ha lasciato il campo con la faccia seccata e due parole di polemica. La Juve ha tenuto botta affidandosi al mestiere ormai affinato di Legrottaglie e chiedendo sano rinforzo ai lottatori del centrocampo. E la partita è vissuta su alternanze, confusione, errori, pochi sprazzi di classe.
Davanti a imbarazzanti incapacità di metter a fuoco la porta, ci hanno pensato i portieri. Neppur si fossero dati la voce. Manninger ha dimostrato che forse è l’ora del ritorno di Buffon, cadendo in alcune incertezze (gol compreso), Carrizo è rimasto impalato e impallato sul gol di Mellberg. Trionfo della classe operaia davanti allo sfarfallare del talento pallonaro.
Poi si sono addensati i dubbi su falli veri o presunti, su qualche gomitata gratuita, su un mani in area di Nedved o una caduta di Amauri nell’altra area. Ma il tutto era condito dall’unico vero interrogativo della partita: questa Juve può tener testa all’Inter? Il suo giocare non è molto diverso da quello nerazzurro: poca fantasia e tanta potenza. Ma c’è nella squadra una voglia di addentare l’avversario, e forse non solo, che rende le sue partite sempre al limite dell’essere o non essere, del farcela o non farcela. Del tutto è possibile, nulla è impossibile. È il vero marchio di qualità e garanzia di questa squadra. Il palo colpito da Legrottaglie, negli ultimi cinque minuti, ha confermato l’idea. Ma se ieri sera la Juve è stata servita e rasserenata da tutta la classe operaia, non così dai suoi campioni. Del Piero è uscito prima, Amauri è rimasto spuntato, la gioventù è stata la solita minestra insipida. E a questo si aggiunge il colpo basso della doppia squalifica di Sissoko e Molinaro per domenica con la Fiorentina. Per vedersela con l’Inter servono i pezzi da novanta.

La Lazio era l’ideale sparring partner: pericolosa nel suo guizzare in contropiede (l’ultima accelerazione di Foggia deve aver fatto venire capelli bianchi a diversi tifosi), ma morbida da addentare nel suo giocare difensivo. Forse la partita ha detto più di quanto dicano il risultato e la classifica.

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