Milano Mohamed D., marocchino, è nato nel 1986 ed è venuto in Italia, a Milano, che era minorenne. Ha ottenuto così un permesso di soggiorno, diventando, per la legge italiana, inespellibile. Arrestato mentre trasportava hashish, adesso non può essere espulso: il suo stato attuale lo impedisce. Perché ha chiesto, per motivi umanitari, asilo politico. Gli è stato concesso: sostiene di essere cristiano e di non poter professare liberamente la sua fede nel suo Paese. E adesso, scontata la sua pena, Mohamed è ancora libero di spacciare. Ma soprattutto, se catturato unaltra volta, non potrà comunque mai essere allontanato.
Sanikou K., gambese, classe 1980 ha avuto il suo primo permesso di soggiorno il 24 marzo 2003 in Italia, sempre a Milano. Nel giro degli ultimi 5 anni è stato arrestato quattro volte per spaccio. Durante uno dei suoi «soggiorni» nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, Sanikou ha chiesto asilo politico: nel suo Paese, ha spiegato, la situazione politica non è stabile. Naturalmente lo ha ottenuto. E adesso è libero. Di espellerlo, non se ne parla proprio.
Di casi come questi, solo a Milano, ce ne sono centinaia. Basta dare un'occhiata agli arresti dei poliziotti dell'Uocd (Unità operativa crimini diffusi) della squadra mobile che operano soprattutto per eliminare o almeno provare a ridurre piaghe come lo spaccio al minuto (la vendita delle cosiddette «palline» di cocaina per strada). Gli stranieri sorpresi a spacciare vengono poi accompagnati al reparto prevenzione e controllo dell'ufficio immigrazione. E i risultati sono inquietanti: almeno il 40 per cento di questi spacciatori risultano avere l'asilo politico. Come il gambese Saikou D., classe 81, arrestato per spaccio lo scorso agosto, l'altro gambese Bakary M., 24 anni, catturato con la stessa accusa o Jihtht G., 21 anni, anche lui gambese, arrestato per spaccio il 28 luglio 2008. «Al momento dell'arresto noi ci limitiamo a sorprenderli in flagranza di reato, cioè lo spaccio di stupefacenti e poi ad ammanettarli e a portarli in carcere, non sappiamo nulla della loro posizione - spiega il dirigente della squadra mobile di Milano, Francesco Messina, da cui dipende l'Uocd -. È al momento della scarcerazione che si pone il problema del loro status: in realtà, una volta in carcere, noi non sappiamo che fine facciano dopo, se vengano espulsi o meno».
Dietro lespressione «motivi umanitari» si celano tuttavia ragioni diverse, motivazioni anche assurde, ma che in pochi, nelle commissioni territoriali, hanno il coraggio di contestare. «Normalmente lo status di rifugiato viene determinato su base individuale; più rari sono i casi di riconoscimenti collettivi. Viene considerata la situazione personale del richiedente più che la situazione esistente nel Paese di origine - spiega il membro di una commissione territoriale che chiede di mantenere l'anonimato -. Il problema è che molto spesso, tra i componenti delle commissioni, si crea una sorta di timore nel rifiutare una richiesta di asilo». Sono soprattutto gambesi, ivoriani e senegalesi a chiedere ospitalità. Molto spesso si rifanno alla situazione politica poco stabile dei Paesi di provenienza dove, magari, sono in atto guerriglie o focolai di guerra. Ma possono chiedere asilo anche per motivi personali: se si dichiarano omosessuali, ad esempio, possono affermare che in un Paese musulmano avrebbero vita difficile se non impossibile ma soprattutto rischierebbero la pelle. Oppure, sempre chi è originario di in un Paese musulmano dove cè tolleranza zero per chi professa altre religioni, se prima di essere scarcerato sa di poter essere espulso, può dichiararsi un fervente cattolico e quindi aggirare l'ostacolo chiedendo asilo politico per motivi umanitari: se gli viene concesso, il soggetto in questione potrebbe venire arrestato ancora molte volte, ma espulso mai.
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