La metamorfosi di Casini, il vietcong centrista

I paradossi della campagna elettorale: un anno fa era un fedele alleato di Berlusconi. Ora accusa: "Distribuisce sondaggi falsi e spiega che siamo come Veltroni"

La metamorfosi di Casini, il vietcong centrista

Roma - E meno male che tutti dicono di voler essere moderati, in questa campagna elettorale, pacatamente e serenamente intenti a dialogare con gli avversari. Meno male che usano toni bassi. Per dire: chi se lo sarebbe immaginato, solo sei mesi fa questo nuovo «Pierferdy» tutto d’assalto, con il pugnale stretto fra i denti? Altro che Marco Follini, il vero «Che Guevara» è lui.

Diceva infatti Fini che Follini era il vero erede del guerrigliero argentino, ma adesso che «l’Harry Potter dello scudocrociato» ha trasmigrato nel Pd e ci si è ibernato, è Pier Ferdinando Casini quello che si è calato il basco con la stella sulla testa e ha continuato la sua battaglia, «1-2-3, 10-100 Vietnam», alè.

Davvero fantastica, la Seconda repubblica: se te ne vai al mare un week end e poi torni non capisci più nulla. Uno elettore «udicino» che fosse partito dall’Italia solo un anno fa - per dire - si sarebbe ricordato questa divisione di ruoli: Casini leale alleato del Cavaliere. Follini innamorato del grande centro fuori dai blocchi. E poi il mitico Mario Baccini che si autocandidava a guidare il centrodestra a Roma, ovvero più a destra sia del primo che del secondo. Bene, se tornasse ora, quell’elettore moderato e centrista gli prenderebbe un colpo: Baccini è uscito dal centrodestra è ha fondato un terzo polo (!), la Rosa bianca. E Follini, come sappiamo, è diventato compagno di lista di Emma Bonino (!!). E chi c’è rimasto a impugnare il parabellum della lotta antiberlusconiana oggi? Ma lui, ovviamente, Casini. Una specie di vietcong centrista, sempre in battaglia e mai domo. Per dire: solo due settimane fa Casini diceva da Matrix, per spiegare la sua rottura con il Cavaliere: «Non siamo in vendita!». Da due giorni, tutta Roma è incartata di manifestoni 100x140, con il primo piano di Pierferdy e il suo slogan d’assalto a caratteri cubiltali: «I nostri valori non sono in vendita». Detto fatto. Fra l’altro ha già accettato di duellare. Con chi, con Fausto Bertinotti, forse? Mannò, con l’ex alleato di ieri, il Cavaliere in persona. Il quale ha risposto sulla stessa lunghezza d’onda, arrivando a dire che lui è dal 1994 che con Casini non si ritrova pienamente a suo agio. Caspita. Ma «Pierferdy» è ineffabile. E usando come un mantra il sondaggio di Mannheimer per il Corriere della Sera che che gli assegna un possibile 6.5 per cento dei voti attacca a destra, a sinistra, in alto e in basso: Casini contro tutti. Attirandosi addirittura gli strali di Beppe Grillo, che lo sfida sui suoi legami familiari: «È sconcertante come uomo. L’azzurro Caltagirone se vuole occuparsi della famiglia dovrebbe occuparsi della famiglia di suo suocero che ha un conflitto d’interesse gigantesco». Il comico dell’antipolitica torna ad affondare la lama: «È nei media, è nel cemento, è nelle banche, è nella produzione di energia: ecco perché vuole il nucleare». E di Fini, che fino a un anno fa era il suo ex alleato prediletto, nei braccio di ferro titanici dentro la Casa delle libertà? «Con lui avevo un rapporto politico positivo, la rottura di questo rapporto è una delle cose che più mi ha amareggiato e lasciato interdetto». E la nuova formazione di centrodestra, in cui non è voluto entrare? «Nelle liste del Popolo della libertà - dice affondando la lama - c’è gente specializzata in ribaltoni». Aggiungendo subito dopo: «Io non ho mai fatto un ribaltone». E Walter Veltroni, il re dei più buoni? «È l’uomo delle promesse impossibili». E Lui, Silvio Berlusconi? «Ormai parla solo dell’Udc, distribuendo falsi sondaggi e spiegando che siamo come Veltroni».

E quando gli arrivano sulla testa gli attacchi più duri, Casini si scrolla le spalle con noncuranza: «Per Berlusconi sono il diavolo? Beh, questo mi lascia indifferente, anzi è un titolo di merito...». Roba da far impallidire Marilyn Manson, la rockstar maledetta.

La verità, è che dentro questa mutazione, c’è l’ennesima sorpresa della politica. Casini incrocia le lame con Berlusconi mentre Bertinotti nel parla bene: stai a vedere che il Che Guevara dello scudocrociato finirà per rubare voti anche alla Cosa rossa.

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