nostro inviato a Bergamo
Un groppo alla gola. Il cuore in tumulto davanti al latrato delle Frecce Tricolori che si avventano sul cielo della città pavesandolo a festa. Una lacrima sul viso, perfino, e non solo su quello delle mogli al seguito, mentre gli occhi della moltitudine seguono la nuvolaglia biancorossoverde che si sfiocca laggiù, contro il sipario delle mura medievali della Città Alta. Berci, fischi e pernacchie in quadrifonia, per una pennellata di colore in più, sono tutti appannaggio di un incongruo e malcapitato Antonio Di Pietro, presentatosi in pubblico, ahilui, con un bel cappello da alpino, lui che alpino mai fu!
L'adunata delle penne nere è come il miracolo di San Gennaro. Non c'è niente di più risaputo, niente che faccia meno notizia, niente di più ovvio (tranne le volte che il sangue del santo non vuol saperne, ma è raro). Eppure ogni volta, con gli alpini, la storia si ripete. Uno si ripromette di restar sobrio, di raccontare l'evento con un po' di partecipazione, sì, - noi dei giornali, dico - ma senza sbracare nel sentimentalismo, nel volemose bene, nella retorica patriottarda. Lo stesso pensano all'inizio gli abitanti della città che per tre giorni, magari sbuffando, ma pensando alle palanche in arrivo accettano di farsi violentare dalla valanga umana che stravolge il ritmo consueto e perfino il panorama di strade aiuole parchi e giardini. Poi, alla fine, il miracolo si ripete; sicchè se fossimo a Chicago o a Minneapolis invece che a Bergamo saremmo ora tutti lì, come tanti presidenti americani, con la mano sul cuore e a labbra strette per l'emozione.
Volano dagli spalti che fanno ala alla grande sfilata applausi a scena aperta, mentre sul viale papa Giovanni, dalla stazione ai propilei di Porta Nuova e alla Ferdinandea che comincia laggiù sfilano cinquecentomila penne nere venute dai cinque continenti per rinnovare ogni volta il patto che li lega per la vita. Scene di massa che sembrano pensate ai tempi di Cecil B. De Mille, quando le comparse non costavano niente e i film, se lo promettevano, erano kolossal veri, senza trucchi e senza computer.
Va in scena la fierezza di sentirsi italiani nel cuore e nelle viscere, e la certezza di condividere una storia, un destino, un sentimento, una lingua, un territorio. Come se davvero, per un giorno, ci sentissimo Nazione anche noi, come gli spagnoli e i francesi, per dire, e non veneti e calabresi, per Berlusconi o contro, interisti o romanisti. Sfila fra i cinquecentomila, tenendoselo accanto, anche il pittore Cesare Manzoni, 65 anni, di Ponte San Pietro, barba bianca da garibaldino, che dopo 45 anni ha ritrovato il Franco Marchioni, di Vittorio Veneto, il commilitone con cui aveva fatto il Car all'Aquila, nel primo scaglione del 1965.
Commosso, e chi se ne frega se rischierà di apparire sopra le righe, è anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa: «Da Bergamo parte, alla vigilia del 150º anniversario dell'Unità d'Italia, un segnale forte di coesione nazionale e di amore per la Patria», dice bello contento. E continua: «Un segnale che viene dall'incontro tra gli italiani e i militari con le penne nere, che sanno rappresentare l'amore per la Patria, l'aiuto ai più deboli, il senso di amicizia e di corpo. Il connubio Bergamo-Alpini è quanto di meglio si potesse immaginare. La città è piena di tricolori ad ogni finestra, ad ogni balcone, segno di come il sentimento di unità nazionale sia comune al Sud, al Centro e al Nord».
Ci vogliono ore perché tutti i cinquecentomila abbiano il loro momento di gloria. E pazienza se a metà pomeriggio si scatena la pioggia. Si va avanti, eccome se si va avanti. Infuria l'acqua? Allora si mette mano alle fisarmoniche, ai flicorni, ai clarinetti e alle grancasse. Infuriano le note del «Trentatrè-Valore Alpino», così chiamato perché era il trentatreesimo pezzo nel repertorio delle fanfare alpine dei primi reparti. Sbancano nelle hit da marciapiede la Banda Rurale di Castelli (Teramo) e della val d'Ossola.
Il sipario sull'ottantatreesima adunata nazionale cala a sera, con l'ammainabandiera e il passaggio delle consegne dal sindaco di Bergamo, Franco Tentorio, a Sergio Chiamparino, primo cittadino di Torino, dove l'anno prossimo si replica.
Impavido nella sua incongruità, accanto all'ingresso del Tribunale, è rimasto per il terzo giorno di seguito il signor Pierluigi Pellegrini, trasformato in uomo-sandwich. Sul petto, un inno alla sciarada: «Ventisette anni d'inferno. Per la neuropsichiatria di Zogno dovevo rimboccarmi le maniche. Dov'è la mia auto? È mia solo per pagare le tasse!» Con lui, siamo a cinquecentomila e uno.
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