La Michelin ci dà altre tre stelle E scopre che l’Italia sa cucinare

Francese era e francese resta, però per il secondo anno consecutivo la Michelin premia otto ristoranti italiani con voti di eccellenza. Non solo: se l’anno scorso furono tutti e otto premiati con la seconda stella, ieri alla Triennale di Milano sette sono passati in doppia stella, mentre il Vittorio a Brusaporto vicino Bergamo ha visto accendersi sull’insegna la terza. Per uno chef, nella circostanza Enrico Cerea, è il massimo traguardo al mondo.
L’Italia da ieri ha sei locali a tre stelle (e 37 a due), il massimo da sempre, perché gli ispettori coordinati da Fausto Arrighi hanno confermato al vertice il Sorriso di Soriso (Novara), il Pescatore a Canneto sull’Oglio (Mantova), le Calandre a Rubano (Padova), l’Enoteca Pinchiorri a Firenze e la Pergola a Roma. Certo che, con la promozione di Vittorio nell’aria (il Giornale l’ha anticipata mercoledì scorso), ieri ha fatto quasi più scalpore la bocciatura di Paolo Lopriore, chef del Canto alla Certosa di Maggiano a Siena. Non che la voce non girasse, lasciando però tutti basiti. Invece è la verità: tutte le visite della Rossa hanno dato esito negativo. Ha detto Arrighi: «La sua cucina è risultata cerebrale, troppo, con eccessi che non sono piaciuti. Gli eccessi non pagano, bisogna stupire nella normalità, ricordarsi che bisogna lavorare per la clientela. Detto questo, aggiungo però che la stoffa c’è e magari tra due anni di stelle ne avrà addirittura due».
Poi, come sempre, tutti a chiedere quanto contino servizio e ambiente. Sempre Arrighi: «Niente, la qualità delle stelle è tutta nel piatto». E poi: «Noi non giriamo per analizzare i piatti come fossimo fanatici. Cerchiamo e premiamo quei posti che sanno regalare un momento di piacere ai clienti e la controprova arriva dalle presenze ai tavoli: se sono spesso vuoti, probabilmente qualcosa lì non funziona». Poi a remare contro è arrivata la crisi: Fulvio Pierangelini ha chiuso il Gambero Rosso a San Vincenzo (Livorno), Ezio Santin cerca chi gli compri il locale alla Cassinetta (Milano) e ben 13 delle 22 singole stelle soppresse hanno chiuso i battenti.
Con Vittorio (72 dipendenti più 11 Cerea) sugli scudi pure il Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba e l’Antica Corona Reale di Renzo e Gian Piero Vivalda a Cervere, entrambi in Piemonte; Il Mosaico, in cucina Gaetano Di Costanzo, al Terme Manzi Hotel sull’isola di Ischia; La Madia di Pino Cuttaia a Licata in provincia di Agrigento; il Pellicano a Porto Ercole in provincia di Grosseto, ai fornelli Antonio Guida; la Trenkerstube dell’Hotel Castel a Tirolo in Alto Adige, chef Gerhard Wieser, e infine il Met dell’Hotel Metropole a Venezia dove Corrado Fasolato è emerso grazie a un imperativo: «Non ho mai considerato il Met un ristorante di Venezia, di una città turistica, non è mai facile lavorare in Laguna».
Cuttaia si è concesso una battuta pensando a quante stelle vanti la Sicilia orientale («la Michelin ha unito il ponte prima di Berlusconi») e poi ha lanciato un appello: «Con la seconda stella l’anno prossimo sicuramente non chiuderò, però in Italia bisogna impegnarsi ancora molto - e tutti - perché cresca la cultura della cucina di qualità, che non vuole dire piatto pieno e basta».
Gian Piero Vivalda invece, aveva sfiorato la promozione per ben due volte, salvo ottenerla quando non ci pensava più: «Quando la Michelin mi avvisò che ero vicino alla seconda stella, per me fu un onore e uno stimolo a impegnarmi al massimo.

Ero concentratissimo, ma probabilmente sbagliai qualche colpo».
Nota finale: Vittorio, in una ideale corsa per la terza stella, ha vinto su Cannavacciuolo, Bottura, Cracco e Vissani. Nuova guida nuovo gran premio, da tenere d’occhio stavolta anche Berton e Gennaro Esposito.

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