Igor Principe
Ha debuttato a Torino ai tempi delle Olimpiadi Invernali, ed è stato tra gli spettacoli più apprezzati dei cinque (come i cerchi olimpici) che Luca Ronconi ha realizzato per l'occasione. Ma se per Lo specchio del diavolo si deve rintracciare una casa, questa è Milano. Non tanto perché il regista è anche il direttore artistico del Piccolo Teatro, quanto perché si tratta della capitale degli affari e della finanza italiana. Dell'economia, insomma. E di economia parla Lo specchio del diavolo.
La genesi dello spettacolo (in scena al teatro Strehler dal 9 al 19 maggio) ha radici che affondano in una felice esperienza che ha segnato la storia recente del teatro milanese e italiano. Parliamo di Infinities, pièce che Ronconi realizzò quattro anni fa basandosi sugli scritti del matematico John Barrow dedicati ai paradossi dell'infinito. L'idea era tanto semplice quanto impegnativa: trovare strade innovative rispetto alle drammaturgie tradizionali.
Allora si parlava di scienza, oggi di economia. Ma la sostanza è la medesima. «Quando si fa regia, si porta a teatro qualcosa che appartiene alla letteratura - dice Ronconi -. Per me è naturale e necessario andare oltre l'ambito letterario. Ovviamente, il testo deve avere qualche elemento, anche nascosto, di teatralità. Qui c'è una storia e ci sono dei personaggi. C'è, insomma, un nucleo di rappresentabilità».
È quasi eufemistico, il regista, quando parla di storia e di personaggi. Lo specchio del diavolo è infatti la trasposizione teatrale di un libretto - non per sminuirlo, ma per dire che sono solo 130 pagine - che l'economista Giorgio Ruffolo ha dato alle stampe per Einaudi, e che è nato proprio su suggerimento di Ronconi. Il sottotitolo recita: la storia dell'economia dal Paradiso terrestre all'inferno della finanza.
Considerando che Ruffolo parte da Adamo ed Eva e finisce con i monetaristi di Milton Friedman, ispiratori della politica di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, si capisce che la storia è quella dell'uomo e che i personaggi si attestano nell'ordine dei miliardi.
Il tempo non è scandito cronologicamente. Ruffolo ha organizzato il testo - e il regista vi si è atteso - in tre grandi quadri scenici. Nel primo si parla dei rapporti tra economia e ambiente; non in chiave ambientalista, ma cercando di capire come l'una influenzi l'altro e viceversa. Nel secondo, appare la moneta, ovvero il carburante di quella che la vulgata definisce «scienza triste». Nel terzo, la politica, quindi i rapporti tra economia e potere. Lecita, a questo punto, la domanda: Ronconi, siamo di fronte a una lunga lezione universitaria camuffata da teatro?
«Per carità - ribatte -. Detesto quando. guardando uno spettacolo, mi si dice sto imparando qualcosa. Se devi imparare, vai a scuola. Il nostro referente rimane Aristofane, cioè il teatro che tratta e sintetizza gli argomenti che ci stanno intorno. E che noi stessi non capiamo. Sin dall'inizio lo spirito con cui abbiamo lavorato è stato quello di lasciarsi guidare dal testo per non apparire pedanti. Siamo ignoranti ma curiosi. E vorremmo che lo spettatore, uscendo dalla sala, abbia un briciolo di curiosità in più per la materia».
Che non è trattata asetticamente. Ruffolo gioca di ironia e non nasconde la sua visione, non certo vicina alla politica dei due leader succitati. Ma nemmeno è un pamphlet anti-liberista. «Ho cercato di raccontare la tendenza, per me inquietante, dell'economia contemporanea: il gioco di specchi - dice l'autore -. I prezzi dei mercati riflettono quelli dei valori reali, ma dovrebbe essere il contrario.
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