Quando i carabinieri lo hanno notato e bloccato mentre camminava per strada diretto verso Cuggiono, era tranquillo e si è fermato senza fare resistenza. «Ho ucciso due uomini. La pistola che ho usato è qui» ha dichiarato pacato, estraendo dal marsupio la sua Bernardelli calibro 7.65 per consegnarla ai militari.
Una volta portato in caserma ad Abbiategrasso e più tardi, a Milano, davanti al suo legale Mario Tartaglia e al pm Luca Poniz, Davide Spadari, un carpentiere incensurato di 37 anni di origine foggiana ma residente a Buscate, ha raccontato con dovizia di particolari le ragioni che ieri mattina lo hanno spinto a entrare, poco prima delle 6.30, al bar «Bottazzi» di via Milano, a Casate, frazione di Bernate Ticino e, senza dire una sola parola, a sparare due interi caricatori prima contro il suo datore di lavoro Rocco Brattalotta, un calabrese che avrebbe compiuto 48 anni oggi e che abitava a Turbigo, per poi puntare l'arma sul figlio dell'uomo, il 22enne Salvatore.
Entrambi sono morti subito. A quel punto l'omicida, che era arrivato sul posto con la sua Lancia Y, ha lasciato la vettura davanti al bar e se n'è andato a piedi verso Cuggiono. I carabinieri lo hanno arrestato per strada, dopo che aveva percorso un chilometro e mezzo. Una volta in caserma Spadari, che inizialmente non parlava, ha cominciato a realizzare la gravità di quel che aveva fatto e, tra il rassegnato e il disperato ha iniziato a ripetere: «Cosa ho combinato? Il figlio... Non volevo uccidere il figlio».
In tutta questa brutta storia emerge un elemento che sia i carabinieri del comando provinciale di Milano che l'avvocato Tartaglia ci tengono a sottolineare come determinante: una minaccia di licenziamento (che pure c'è stata) ha poco se non nulla a che fare con il vero movente che ha spinto Spadari a commettere il duplice omicidio. È vero che mercoledì sera Rocco Brattalotta, al culmine dell'ennesima lite con l'operaio, in un cantiere dell'Expo, sarebbe sbottato con una frase molto forte: «Sai che ti dico? Devi schiattare. Basta così, da domani non presentarti più al lavoro!».
Tuttavia va precisato che Brattalotta, pur essendo il capo di Spadari, non aveva nessun potere formale d'interrompere il rapporto di lavoro del suo sottoposto. Inoltre lo stesso Spadari, durante l'interrogatorio in Procura, ha precisato che a spingerlo ad ammazzare padre e figlio con delle modalità molto simili a un regolamento di conti è stata, a suo dire, una lunghissima serie di vessazioni, angherie e offese di cui l'uomo si sentiva ingiusta vittima.
L'ultimo litigio, che avrebbe indotto il datore di lavoro a voler troncare l'ormai difficilissimo rapporto professionale, è stato forse la classica goccia che ha fatto traboccare il risentimento covato dal carpentiere 36enne. Che, trovandosi in condizioni psichiche già molto instabili (l'avvocato Tartaglia chiederà che venga sottoposto a perizia psichiatrica, ndr) si è trasformato in un vero e proprio assassino.
Bartalotta e Spadari lavoravano insieme da quindici anni, ma i loro rapporti si erano logorati negli ultimi due con discussioni feroci, insulti e minacce.
Ormai per il carpentiere, da tempo depresso (deteneva però regolarmente una pistola, ndr) il capo era diventato un vero incubo. La frattura tra loro era diventata insanabile, il rancore creava un clima incandescente sul lavoro. Spadari ha deciso però che la parola fine, a questa storia, doveva metterla lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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