Martedì 30 giugno riaprirà, dopo sei anni, il museo dell'Alfa Romeo di Arese. Quando nel 2009 venne chiuso, dopo uno snervante tira e molla tra proprietà (il gruppo Fiat) e le amministrazioni locali, che finì con l'apposizione del vincolo a edificio e contenuto da parte dei Beni Culturali, gli appassionati del marchio del biscione caddero tutti in una specie di trance. Faceva davvero tristezza vedere gruppi di appassionati di ogni età e provenienza impalati davanti al cancello dell'ex centro direzionale dello stabilimento, costretti a tornare sui propri passi, con l'incredulità sul volto e negli guardi, senza poter varcare quel cancello metallico arrugginito che lasciava spazio solo al ricordo.
La notizia della riapertura del museo non può che far bene al cuore degli alfisti, ma non solo. Nella desolazione dell'area dove sorgeva uno degli impianti industriali più moderni e avanzati del pianeta, ora divisa tra il più grande centro commerciale d'Italia che aprirà dopo l'Expo e il megaparcheggio a disposizione dei visitatori dell'esposizione universale, si è voluto conservare e tenere in vita il centro direzionale dell'Alfa, che integra l'edificio del museo completamente ristrutturato, l'archivio storico dell'ultracentenaria azienda milanese oltre a servizi, ristorante, etc. Si è evitato così di commettere l'ennesimo sfregio al patrimonio industriale e culturale nazionale, strappando all'abbandono un pezzo importante della storia di questa città, ma anche della storia recente del Paese. D'accordo, nel frattempo il modo è cambiato; l'automobile – indipendentemente da marchio, cilindrata, potenza e “quarti di nobiltà” – assomiglia sempre più a un funzionale, efficace ed efficiente elettrodomestico che a un oggetto del desiderio in grado di offrire impagabili emozioni. D'accordo, non succederà mai più che le mitiche Alfa – che per decenni hanno riempito di gloria le cronache sportive, economiche e mondane – usciranno dagli stabilimenti milanesi (la nuova Giulia presentata nei giorni scorsi sarà prodotta a Cassino), ormai scomparsi. Ma con la riapertura del museo – disegnato dai fratelli Vito e Gustavo Latis e inaugurato nell'ormai lontanissimo dicembre 1976 – e le parole di Marchionne che ha richiamato proprio il vecchio spirito Alfa, è stato restituito all'immaginario collettivo un sogno che sembrava svanito. Forse è poca cosa, ma il segnale è importante. A cominciare dalla grande scritta «Alfa Romeo» in corsivo rosso che è tornata a campeggiare sul tetto delle palazzine di cemento armato grigio di fianco all'autostrada dei Laghi. Le logiche della globalizzazione hanno segnato inevitabilmente anche il destino dell'Alfa, ma questa non è materia che intendiamo affrontare in questa sede. Piuttosto, la riapertura del museo di Arese – per una volta almeno - va a sbattere contro le stesse logiche assorbenti della globalizzazione. Certo, anche il museo è cambiato: mettendoci mano, gli architetti hanno giustamente privilegiato le nuove «esigenze sensoriali» che devono appagare innanzitutto la generalizzata sete di multimedialità, pegno da pagare all'era del presente virtuale (del resto, che cosa sono oggi le gare di Formula 1, se non una specie di carosello che si nutre di elettronica e telemetria?).
Ma quei capolavori a quattro ruote frutto del genio – spesso italiano – esposti tra luccicanti vetrine, pronti a rombare e tornare a correre sulle strade del mondo, non danno solo piacere alla vista: restituiscono senso e perché a tutti quelli – dai progettisti agli operai - che per realizzarli ci hanno messo ingegno, lavoro, passione e anima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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