Ha ottime probabilità di tornare presto libero l'ex brillante psichiatra di origine pescarese Arturo Geoffroy. Al momento impegnatissimo a scrivere un libro su ciò che lo spinse, nell'estate di dieci anni fa ad assassinare per strada, a Milano, con un dardo di balestra e tre pugnalate il suo collega 42enne Lorenzo Bignamini. «Non ho deciso il titolo dell'opera, ma è questione di poco: da quelle pagine potrete capire le ragioni di quel che ho fatto, cosa mi ha condotto a quel gesto e come sono adesso, a oltre dieci anni di distanza» ci dice sbrigativo al telefono il 57enne parlando dai locali dalla comunità protetta del Gruppo Atena a Monte Cerignone, provincia di Pesaro e Urbino. Poco lontano, insomma, dalla casa natia di Chieti, dove ancora vive sola l'anziana madre, una 96enne con la quale Geoffroy aspira a passare gli ultimi anni della sua vita. «Un luogo strategico che garantisce all'utente la tranquillità necessaria facilitando l'inserimento e rendendone più confortevole la permanenza» come si può leggere sul sito della comunità. Dove la bella foto di una piscina piena di pazienti campeggia sulla homepage. Spingendo ciascuno a riflessioni di vario genere sul concetto di penitenza e rieducazione.
Il dottor Geoffroy è arrivato in questa bella comunità con piscina già da oltre un anno, il 16 novembre 2012, dopo aver trascorso otto anni nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, nel casertano. Nel 2004, durante il processo per l'omicidio Bignamini -, dopo l'unanime conclusione dei consulenti di parte e del perito d'ufficio - Geoffroy, che in quei mesi è recluso nel carcere genovese di Marassi (era stato arrestato a Camogli, ndr), viene infatti dichiarato incapace d'intendere e di volere. Il dibattimento è così annullato e lui trasferito nel carcere giudiziario campano. Dove dovrebbe rimanere 5 anni. E invece ne sconta quasi otto. Perché se gli psichiatri continuano ad affermare che la sua pericolosità sociale con il tempo è completamente cessata per i magistrati e il giudice di sorveglianza invece sussiste.
L'ultima perizia psichiatrica, che risale al 17 dicembre di quest'anno, però fa ben sperare l'assassino di Bignamini: «Sono assenti in Geoffroy - scrive il perito - aspetti di natura psicotica. Si ritiene poter esprimere un completo esaurimento delle condizioni di pericolosità sociale e che tali condizioni perdurano già da molto lungo tempo per cui Geoffroy è in grado di essere affidato alle cure e ai controlli del Centro di salute mentale di competenza territoriale, nelle modalità opportune».
Geoffroy presto libero quindi? «Tali conclusioni saranno utilizzate nella memoria difensiva per l'imminente udienza di riesame della pericolosità sociale, a Santa Maria Capua Vetere - ci spiega l'avvocato pescarese Luigi Massari che lo conosce dall'infanzia e lo segue dall'ottobre 2010 - Tuttavia già dall'aprile 2006, ad Aversa, Arturo era stato trasferito in un reparto a sorveglianza attenuata. E aveva usufruito di una quarantina tra permessi e licenze».
La storia di Arturo Geoffroy, si sa, è quella di una scheggia impazzita. Dopo essere rimasto vittima, nel '92 e nel '97, di aggressioni da parte di alcuni suoi pazienti all'interno dell'Asl meneghina dove lavora come psichiatra, emotivamente stressato, si sente «vittima dell'ingiustizia». Per questo inoltrerà decine di denunce contro psichiatri, magistrati, poliziotti e carabinieri. Tutte inascoltate. Ormai rissoso, polemico, carico d'astio e segnalato come «socialmente pericoloso», nel 1999 viene radiato dall'ordine dei medici. Lo shock che ne segue lo porta nel 2001 a essere internato con un tso al San Paolo. Lì Lorenzo Bignamini - sposato e padre di due bimbe - fa il medico. Geoffroy diventa suo paziente e sporge anche contro di lui una denuncia per sequestro di persona, presto archiviata. Nasce così nell'ex psichiatra pescarese l'idea del complotto. Geoffroy, compila una lista in cui compaiono nomi di tutti coloro che, a suo avviso, lo hanno tradito. Tutti «congiurati». E, in cima a quella lista, Bignamini. Il passaggio dallo stress, alla nevrosi fino a una forma psicotica, per quelle che Geoffroy ritiene una lunga serie di ingiustizie subìte, innescano il raptus omicida. E l'8 agosto 2003 uccide Bignamini colpendolo a morte con un coltello e una balestra in piazza Angilberto, al Corvetto.
«La madre di Geoffroy ha risarcito la famiglia Bignamini con 76mila euro - conclude l'avvocato Massari -. Sono i risparmi di una vita di una ex insegnante, moglie di un funzionario di banca».
Tuttavia c'è chi Geoffroy non potrà perdonarlo mai. È Donata Zocca, vedova Bignamini. Anche lei, nel 2008, ha profuso tutto il suo dolore in un libro, ben diverso da quello che sta scrivendo l'assassino di suo marito: «Una lama nella psiche».
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