Nelle case popolari al numero 67 di via Inganni è un continuo di risse tra abitanti legali e abusivi. L'ultima sabato mattina. La racconta la signora Aurora, scala Z: «Venerdì verso mezzanotte una famiglia egiziana è entrata in un appartamento della scala D, vuoto perché la signora che ci viveva è morta». A sigillare la porta era già stata messa la lastra d'acciaio, dopo vari precedenti tentativi di occupazione.
«Ma i vicini hanno sentito il rumore, e l'uomo che insieme a moglie e bambini stava occupando li ha minacciati di colpirli con il piede di porco con cui stava scassinando l'ingresso». Segue discussione accesa, alla fine la famiglia occupante resta lì per la notte. E l'indomani mattina, sabato, si riprende: «L'uomo è andato dai vicini e ha detto loro: Dovete stare zitti e farvi i fatti vostri. Hanno ricominciato a discutere, urlando, sono venuti alle mani, poi è arrivata la polizia», prosegue Aurora. Che commenta: «Alla fine quella famiglia abusiva è ancora lì, e noi siamo stufi, ogni volta arriva qualcuno a occupare». Approfittando anche dell'assenza di un custode: «Lo paghiamo, ma da marzo scorso non c'è più». Così gli abitanti del civico 67 ora si stanno autorganizzando: presìdi in cortile, un paio di uomini a turno, ogni notte. Autodifesa territoriale, «perché noi l'affitto lo paghiamo».
Fisiologico che in questa guerra tra poveri chi si sente abbandonato decida di alzare la voce. Succede anche tra via Giambellino e Lorenteggio, e nell'altro punto caldo degli alloggi popolari, tra piazzale Segesta, via Mar Jonio e piazza Selinunte, aree della città dove il racket delle porte sfondate a pagamento sta facendo il giro dei programmi tv, ma qui è storia consolidata di almeno un paio d'anni. Non serve un sociologo per capire che tra la rivolta di Tor Sapienza a Roma e le tensioni nelle periferie di molte grandi città il passo può essere breve. La Prefettura di Milano ora ha avviato gli sgomberi degli abusivi nelle case Aler, ma l'insofferenza non riguarda solo questo.
Ci sono gli accampamenti dei nomadi: quelli storici di Rubattino, Bonfadini, cavalcavia Palizzi. E quelli un po' più recenti, da piazza Napoli lungo viale Carlo Troya fino al Naviglio Grande, o attorno alla Chiesa Rossa.
Nel quartiere Adriano gli abitanti hanno raccolto mesi fa centinaia di firme contro baracche e degrado di una zona che doveva essere residenziale, tranquilla e verde, invece sta diventando terreno di spaccio e sbandati. Con i problemi di fruizione di strade, piazze, parchi che ne conseguono. Con la paura di subìre furti, la sensazione di non essere al sicuro: è quell'idea di vivere in una banlieue che non va giù a molti. C'è chi, pensando di fare un buon investimento, ha comprato casa in una zona e poi se la vede peggiorare sotto il naso, mentre il valore dell'immobile va giù, oppure chi in certi quartieri abita da una vita e non sopporta l'evoluzione in peggio.
La crisi è un coltello in questa piaga, fa scoppiare l'insofferenza come una bomba, come a Roma.
«Non siamo razzisti», è il refrain ripetuto dagli abitanti del quartiere Greco dove la raccolta firme contro il refettorio ambrosiano (a costo zero, e in un ex teatro di proprietà della parrocchia) ha ricevuto la replica del cardinale Scola, che invitava a «dire no alle ideologie che dividono». Ma quella protesta è anche lo sfogo di chi, tra la mensa per i rifugiati di via Stella e il Leoncavallo, si sente circondato solo dalle esigenze altrui.Twitter @giulianadevivo
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