Barbareschi: sul palco recito e canto il libro della mia vita

L'attore-regista-produttore mette in scena gioie e dolori nel suo one-man-show «Cercando segnali d'amore nell'universo»

Barbareschi: sul palco recito e canto il libro della mia vita

«L'altro giorno ero al telefono con Gabriele Salvatores, e ci chiedevamo com'era successo che in un attimo, ci fossimo trovati ad essere i vecchi della situazione. Noi, gli ex ragazzini degli anni '60. Il tempo passa per tutti ed è per questo che proprio oggi sentivo l'urgenza di fare uno spettacolo di questo tipo». Sarà anche vero, com'è vero, che il tempo scorre inesorabile, però il sorriso sornione di Luca Barbareschi sa come fare slalom tra le pagine del calendario. É un'arma che spiazza, e lui lo sa: difatti la metterà in scena, insieme a una galleria di altre abilità, al Teatro Manzoni, dal 19 febbraio all'8 marzo (ore 20.45, domecnia ore 15.30, ingresso 32-21 euro, info 02.76.00.54.71), nel one-man show intitolato «Cercando segnali d'amore nell'universo». Uno spettacolo dove Barbareschi recita, canta, suona, balla e, più di ogni altra cosa, ricorda. Insomma, una faticaccia. «Due e ore e un quarto che, ripeto, potevo fare solo oggi – spiega l'attore - perché ho ancora le forze e, se devo dirla tutta, forse ne ho più che a vent'anni. Perché a teatro succede questa cosa strana: l'energia fisica non ti viene da dentro, ma dal pubblico. E con questo show ho raccolto le risate ma anche le lacrime degli spettatori, che vedevo con piacere, non sadico, in prima fila».

A divertire e commuovere sono esattamente la vita e la carriera di Luca Barbareschi. L'attore, regista e produttore sa come maneggiare il pubblico in una sorta di autobiografia riscritta e riletta insieme «a una regista di straordinaria sensibilità come Chiara Noschese, che potesse aiutarmi a prendere le distanze dal testo». Sì perché l'anima di questo one man show nasce, spiega Barbareschi, «da un libro sulla mia vita che avevo scritto e che stava per essere pubblicato. Poi ho pensato che mettere per iscritto ricordi anche dolorosi, anche di errori e orrori personali, essendo padre di cinque figlie, me lo potevo risparmiare. Decisi di rimettere mano a tutto, mi ritirai nell'isola di Filicudi, dove ho una casa, e per venti giorni ho riscritto tutto. Poi, due mesi di dure prove chiuso in un teatro con Noschese e la band». Barbareschi è fatto così: sembra metterti a parte di una confidenza e poi, se gli va, ti rimette a posto con una scudisciata. Caratteraccio e talento, l'attore milanese («milanese doc, cresciuto in un quartiere popolare come il Gallaratese, con la montagnetta di San Siro davanti agli occhi, ma non quella di oggi, con l'erbetta: era un ammasso di rifiuti e rottami») racconta, tra sorrisi e amarezze, quasi tutto di sé.

Un'infanzia difficile, figlio di emigrati ebrei dall'Italia in Uruguay («circonciso, ma poi dopo battezzato e finito in un collegio di preti, insomma un casino»), giunto a Milano all'età di cinque anni, abbandonato dalla madre («un giorno semplicemente se ne andò: donna colta, con me comunicava solo con i libri, dunque mi lasciò sul comodino “La cittadella“ di Cronin e “Cent'anni di solitudine“ di Garcia Marquez»), cresciuto col padre («uomo pratico: quando seppe che volevo fare l'attore mi disse chiaramente: io non ti mantengo, i soldi per farlo li trovi tu»), interprete di film dimenticabili

(«come quando in America mi vollero cambiare il nome in Frankie Speranza, pretendendo che facessi la risposta italiana a John Travolta»), ma anche di film di successo a Hollywood e di piéces teatrali nel West End e a Broadway.

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