Bat-casa: tutti assolti E Gabriele Moratti resta l'unico a pagare

Cadute le accuse anche per la funzionaria comunale coinvolta nella vicenda del loft abusivo di via Ajraghi

Alla fine, come era forse giusto, l'unico a venire condannato è stato lui: Gabriele Moratti, figlio dell'ex sindaco Letizia, balzato all'onore delle cronache nel luglio di cinque anni fa, quando venne a galla - grazie alla denuncia di un fornitore non pagato - la straordinaria faccenda della «Bat-casa», il loft di via Ajraghi trasformato dal rampollo della prima cittadina in una abitazione futuristica e iper tecnologica, ispirata a quella dell'eroe con ali di pipistrello. Il processo d'appello ai presunti complici di Moratti junior si è concluso nei giorni scorsi. Due professionisti che avevano gestito i lavori hanno visto prescritte le accuse, e uno dei due se l'è cavata con la condizionale per un'accusa minore. Assoluzione con formula piena, invece, per Simona Di Pietro, la funzionaria del Comune che era accusata di avere «chiuso un occhio» durante i sopralluoghi in via Ajraghi, glissando sulle ardite trasformazioni dello stabile. Ma un piccolo mistero, nella vicenda, sopravvive.

Gabriele Moratti, era uscito di scena già nel 2013, patteggiando la condanna a sei mesi di carcere, convertita in 49mila euro di ammenda. Un conto salato, anche perché andato ad aggiungersi alle centinaia di migliaia di euro spesi dal giovanotto per impiantare nell'ex laboratorio piscina, poligono di tiro, cucina avveniristica e quant'altro: ma a Moratti era convenuto limitare i danni, anche perché nel frattempo dalla Procura gli era arrivata un'altra rogna, il processo per la rissa all'Hollywood con il pilota Eddie Irvine. Nella maglie del processo per la Bat-casa erano rimasti così invischiati il progettista e il direttore dei lavori, nonchè la Di Pietro - difesa dall'avvocato Roberta Quagliata - che alla fine è stata l'unica a venire assolta con formula piena dalle accuse sia di concorso in abuso edilizio che di falso in atto pubblico.

La vicenda della Bat-casa era arrivata all'attenzione del tribunale civile in conseguenza della citazione in giudizio spiccata nei confronti di Moratti jr dal fornitore dell'impianto di domotica, che non vedendosi pagate le fatture aveva ottenuto che al figlio del sindaco venissero pignorati i conti correnti e un quinto dello stipendio versatogli mensilmente dalla Saras, l'azienda di famiglia. Ad attizzare l'interesse della Procura era stata invece una «fonte confidenziale» della Guardia di finanza, di cui non si è mai saputa l'identità ma sicuramente ben introdotta in Comune, visto che consegnò alle fiamme gialle tutta la documentazione interna all'assessorato all'edilizia.

La vicenda aveva causato cospicuo imbarazzo all'allora sindaco Moratti, anche perché nelle carte dell'inchiesta emergeva che aveva avuto modo di visitare lo stabile (quasi 500 metri quadri accatastati come C3, ovvero «laboratorio») durante i lavori di ristrutturazione abusiva.

Nel corso del processo il Comune di Milano non ha mai scelto di costituirsi parte civile contro gli imputati.

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