Dopo le bombe scoppia la polemica: «È colpa degli estremisti islamici»

«Ma che naziskin! Quando non si sa chi tirar fuori si fa la lettura più semplicista che c’è e si parla di teste rasate o di Lega: la verità è che, dopo i fatti di Perugia, c’è una vera e propria campagna anti-islamica, viscerale, contro tutte le moschee!».
Mohamed Safid, 38 anni, e il suo amico Hamed, entrambi algerini, non hanno dubbi. Li troviamo davanti all’istituto islamico di viale Jenner. Sono le 11 di ieri. Loro ci vedono, sorridono perchè sanno già che li vogliamo sottoporre a domande sulla sequenza dei tre episodi dinamitardi avvenuti in provincia di Milano, tra Segrate e Abbiategrasso, negli ultimi venti giorni.
«Provi a riflettere: - ci dicono - il primo attentato al centro islamico di Abbiategrasso c’è stato il 20 luglio. E cioè proprio il giorno del blitz della polizia alla moschea di Ponte Felcino, a Perugia, durante il quale è stato arrestato l’imam e i suoi due connazionali marocchini custodi della struttura che, secondo gli investigatori, avevano creato una vera e propria attività di addestramento al terrorismo di matrice islamica lì dentro alla moschea. Proprio oggi (ieri per chi legge,ndr) ho sentito che il Tribunale del riesame ha respinto la loro istanza di scarcerazione... Probabilmente sono davvero colpevoli, non li vogliamo difendere, sia chiaro. Tuttavia la radicalizzazione di certe posizioni, come quelle di questi tre marocchini, rendono difficile farsi sentire alle menti più intelligenti ed evolute dell’Islam in Italia».
«Questi attentati sono chiari segnali xenofobi. E il fatto che non ci siano state rivendicazioni è proprio perché, chi li mette a segno, non appartiene a specifiche fasce politiche, ma si nutre del generale senso d’intolleranza che si è diffuso negli ultimi tempi in Italia» assicurano Serekh e Myrhiam, una coppia di egiziani che incontriamo ad Abbiategrasso mentre si stanno incamminando verso il centro culturale Alif Baà di via Crivellino, dove, nella notte tra venerdì e sabato, ignoti hanno lanciato due molotov e un tubo con dell’esplosivo.
«Sapevamo che la conduzione piuttosto rigida, da parte dell’imam Abu Shwaima, della moschea di Segrate, aveva portato a frizioni, difficoltà e screzi interni. Già tre anni fa lui stesso era stato accoltellato da un fanatico marocchino del centro di viale Jenner, no? - ricordano marito e moglie egiziani - Ecco: le aggressioni personali appartengono di più al nostro ambiente, al nostro modo di reagire, al modus operandi di un musulmano che dissente. Questi attentati, no. Torniamo proprio da una recente vacanza in Egitto dove abbiamo incontrato molti marocchini salafiti: li noti per come si vestono che appartengono alla corrente più estrema e “ignorante“ dell’Islam, quella che propugna la lotta armata e alla quale, quasi sicuramente, appartengono anche l’imam e i suoi due collaboratori arrestati a Perugia: calzoni che non arrivano alla caviglia (come quelli del profeta Maometto, che, come dice il Corano, non toccavano terra, ndr), barbe lunghe. Sono quelli che, quando si prega in una moschea, ti spingono i piedi affinché tra l’uno e l’altro non ci sia eccessivo spazio.

Si concentrano insomma, sugli aspetti meno rilevanti dell’Islam; sui dettagli che, secondo loro, risalgono ai tempi del Profeta. Non fanno, cioè, la cosiddetta tauwwil, la rilettura e riattuazione del Corano. Per loro è tutto haram, sbagliato. È questa gente che innesca le campagne xenofobe contro le moschee. Anche a Milano».

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