Bronzi, la sfida di Sgarbi all'arroganza dei burocrati

La provocazione del critico d'arte mette nuovamente in evidenza lo strapotere delle sovrintendenze che paralizzano la democrazia

Bronzi, la sfida di Sgarbi all'arroganza dei burocrati

Vittorio Sgarbi ne ha combinata un'altra delle sue, con la proposta di portare a Milano per Expo i Bronzi di Riace. Specializzato in provocazioni, spesso utilissime, stavolta è riuscito a scatenare involontariamente la solita rissa teorica, un risultato che forse neppure lui si aspettava. Infatti che la sua proposta sia del tutto ragionevole e sensata è stato ormai ampiamente dimostrato, perfino dalla pilatesca scelta del ministro Dario Franceschini di affidare ad una apposita commissione di «esperti» (scelti come e da chi?) la decisione sulla trasportabilità delle statue. Bettino Craxi diceva che «quando non si vuol decidere su qualcosa si fa una bella commissione». Sì perché il principale argomento contrario al provvisorio trasloco da Reggio Calabria a Milano, a parte lo stucchevole localismo piagnone di certi politici reggini, è addotto dalla sovrintendente ai beni archeologici della regione, Simonetta Bonomi, secondo la quale i due poveri bronzi sarebbero meravigliosi ma fragili, muscolosi ma gracilini, belli e impossibili (da trasportare). L'inconsistenza dell'argomento è stata ampiamente dimostrata dallo stesso Sgarbi e non solo, mentre è di un'evidenza disarmante il beneficio, la promozione per lo stesso museo archeologico di Reggio, che deriverebbe dall'esposizione delle due statue agli sguardi ammirati di milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo. Oggi ad ammirarle sono in maggioranza giovani (cioè scolaresche) spesso non paganti, prevalentemente siciliani e calabresi. Per la signora Bonomi va bene così, ma forse non per lo Stato che ha speso 32 milioni per allestire il museo. Comunque dobbiamo essere grati a Sgarbi per l'involontaria provocazione, giacché ancora una volta ha messo in evidenza l'abuso arrogante e supponente che le sovrintendenze fanno del loro potere di interdizione. Un potere praticamente insindacabile, tanto che, come dimostra questa vicenda, per contrastarlo un ministro sente il bisogno di schierare una commissione di «esperti». È l'ennesima dimostrazione della prevalenza dell'apparato burocratico sulla politica e della tecnocrazia sulla democrazia. Giacché, come è stato ricordato, i Bronzi non appartengono alla città di Reggio Calabria e, tanto meno, alla sovrintendente Bonomi, ma allo Stato. Quindi la decisione spetta al governo. E pensare che pochi giorni fa i ministri di Matteo Renzi si sono scagliati contro il povero Carlo Cottarelli, commissario per la mitica revisione della spesa pubblica, intimandogli di stare al suo posto perché spetta a governo e Parlamento decidere cosa spendere e cosa tagliare, rivendicando orgogliosamente il primato della politica sulla tecnocrazia. E invece quando si ha a che fare con un sovrintendente, la politica, in particolare gli amministratori locali, sono costretti ad abbassare la testa: no a questa illuminazione, no a questo stand o a quel palco in piazza Duomo, no a quella ristrutturazione... sempre solo no e mai una proposta, un'indicazione in positivo. «Viene la tentazione di consegnare alle sovrintendenze le chiavi della città» disse una volta Gabriele Albertini.

Un potere di interdizione che, per di più, a volte sembra politicamente selettivo, orientato: giacché non possiamo fingere di non sapere che nomine e destinazioni dei sovrintendenti sono formalmente di natura amministrativa ma sostanzialmente di carattere politico: un governo di sinistra manderà in una regione o in una città di destra sovrintendenti di sinistra: per creare problemi. Che immancabilmente sorgono.

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