Il cassetto vuoto di Pisapia e la gran fuga dei candidati

Ha inaugurato i progetti di chi lo ha preceduto ma non lascia nulla in eredità a chi verrà dopo

Fra non più di quattro mesi voteremo per eleggere il sindaco di Milano, il successore di Giuliano Pisapia. E non si può certo dire che frotte di aspiranti candidati si accalchino sgomitando ai blocchi di partenza. Mai come stavolta la poltrona deve sembrare scomoda, giacché candidati forti, candidati «veri» non se ne vedono. Neanche l'affannoso frugare nelle pieghe della mitica società civile per ora riesce a dare risultati. E pensare che l'incomprensibile e intempestiva rinuncia di Pisapia a candidarsi per il secondo mandato dava fin troppo tempo al dibattito, tanto da consentire ai contendenti, di sinistra e di destra, una selezione ampia e comoda. E invece no, sono ancora tutti al punto di partenza o quasi. Ed è strano giacché, per quanto scomoda e faticosa, la poltrona di sindaco è comunque molto prestigiosa, tanto da essere considerata più importante e ambita della maggior parte di quelle ministeriali, fra i primi centri di spesa della pubblica amministrazione. Che succede, dunque?

Sono state tentate delle spiegazioni. Secondo alcuni, i partiti e i candidati più forti aspettavano la fine di Expo, per non essere travolti o oscurati dalle notizie sull'evento e dal conseguente dibattito sul suo esito. Altri ne fanno una questione generazionale: ormai di figure autorevoli per un ruolo così impegnativo ce ne sono poche e quelle poche preferiscono giocarsi le opportunità fuori dalla politica, meno faticose ed economicamente più interessanti. E a Milano certo non mancano.

Ma forse è decisiva un'altra condizione particolare: la sindrome della scrivania vuota. Per la prima volta dopo tanto tempo i potenziali candidati temono di arrivare nel loro ufficio al primo piano di Palazzo Marino e di non trovare un foglio sulla scrivania. Perché per la prima volta il sindaco uscente non lascia in eredità al suo successore almeno un grande progetto non solo pensato ma avviato, sul quale mettersi subito a lavorare. Il prossimo sindaco, perciò, dovrà spendere i primi anni a procurarselo e metterlo in cantiere, il grande progetto che caratterizzi il suo mandato e non lo costringa all'ordinaria amministrazione e a piccoli interventi. Com'è accaduto a Pisapia, ma per sua scelta; giacché ha avuto la fortuna - che però lui considerava un insopportabile impiccio - di trovarsi l'Expo conquistato e preparato da Letizia Moratti e solo da realizzare. Ma lui e la sua giunta arancione hanno preferito perdere più di un anno per ridiscutere e riscrivere, sotto dettatura dell'ala ambientalista della coalizione il Pgt. Il Piano di governo del territorio (il piano regolatore di una volta, insomma) che la giunta Moratti aveva lasciato bell'e pronto, anche quello. Se avesse potuto, Pisapia avrebbe buttato nel cestino anche Expo, ma ormai era troppo tardi e la rinuncia sarebbe stata troppo costosa e umiliante. Anche donna Letizia si è trovato un grandioso progetto da gestire e concludere: la realizzazione di Porta Nuova, quella grande trasformazione urbanistica che, con i nuovi grattacieli intorno a piazza Gae Aulenti, ha cambiato lo skyline della metropoli e ne ha spostato il baricentro socio-culturale.

Ma la Moratti, a differenza di Pisapia, questo impegnativo testimone lo ha raccolto con entusiasmo e portato avanti con impegno. Ecco, forse più di altre considerazioni di tipo politichese, è proprio la sindrome della scrivania vuota, lasciata da Pisapia, a tenere lontani possibili candidati.

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