Dalla Chiesa e l'eredità di un cognome

Nando Dalla Chiesa è un gran bravo ragazzo. Oltre a questo anche i buoni rapporti che da tempo ho con lui mi portano a dire sinceramente che non merita il trattamento a cui lo ha sottoposto la tradizionale pratica lottizzatoria nella distribuzione degli Ambrogini. Questa inaccettabile spartizione partitica delle benemerenze, infatti, inevitabilmente innesca delle polemiche che finiscono per fare male ai premiati e alla loro immagine e a sminuire i loro meriti più di quanto non facciano loro bene i riconoscimenti. È il caso di Dalla Chiesa, presidente onorario della associazione Libera di don Ciotti e presidente del Comitato di saggi che affianca la Commissione antimafia di Palazzo Marino. La sua candidatura all'Ambrogino è stata avanzata dal Pd ed è inevitabilmente apparsa come contrapposta a quella di Letizia Moratti, simmetricamente proposta da Forza Italia nonostante l'ex sindaco l'avesse di fatto ritirata chiedendo l'unanimità sul suo nome. Un eccesso di zelo a cui non si è lasciato andare Dalla Chiesa, col risultato che Nando si porta a casa l'Ambrogino e Letizia no.
Inevitabili, perciò, un paragone e qualche domanda: se Moratti ha l'indubbio merito, concreto e non retorico, di aver conquistato per Milano l'Expo 2015, l'unico grande evento internazionale arrivato da queste parti da tempo immemorabile, quali sono i meriti, concreti e non retorici, di Dalla Chiesa? Giacché, ammettiamolo, il terreno della lotta alla mafia è uno di quelli dove con più facilità e più rigogliosa cresce la pianta vischiosa della retorica. Per non dire dell'uso propagandistico e strumentalmente politico che spesso se ne fa. Dello stesso comitato presieduto da Dalla Chiesa, ad esempio, fa parte anche Giuliano Turone, che per decenni da magistrato è stato concretamente impegnato nella lotta alla mafia, fin dagli anni Settanta, quando ha istruito il primo storico processo a Cosa Nostra in Lombardia. E poi il caso Sindona, l'assassinio di Ambrosoli e molti dei più importanti e difficili casi di concreta lotta alla criminalità organizzata. Niente retorica e niente strumentalizzazioni, tanti fatti e rischi personali. E dunque perché lui no?
Dobbiamo pensare che la candidatura di Dalla Chiesa al prestigioso (nonostante tutto) riconoscimento ambrosiano è dovuto solo a questioni di appartenenza politica. Per questo forse il comportamento di Letizia Moratti, che fin dall'inizio aveva chiesto l'unanimità sul suo nome, appare forse un eccessivamente rigoroso, ma certamente più elegante e più serio. Non è accettabile essere benemeriti a maggioranza.
Non v'è dubbio che nella lotta alla Mafia Nando Dalla Chiesa ha pagato un prezzo carissimo sul piano personale, esistenziale e degli affetti. Ma dobbiamo confessare che dopo casi francamente imbarazzanti come la inopinata nomina di Benedetta Tobagi nel consiglio d'amministrazione della Rai, nutriamo una fortissima diffidenza per i meriti trasmessi per eredità. Non crediamo, insomma, che i meriti dei padri ricadano sui figli. Nessun dubbio sul forte impegno antimafia di Nando, soprattutto sul piano teorico e sociale.

Ma se di quell'impegno si appropria una partito e ne fa argomento di propaganda e strumento di discriminazione partitica, allora sia la figura di Dalla Chiesa, sia il suo impegno sia la medaglia che gli verrà consegnata da Pisapia il 7 dicembre perdono di valore. Per questo crediamo meglio avrebbe fatto Nando a chiedere, come Letizia, l'unanimità per il suo Ambrogino.

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