«Che bella Milano. Devo dire che rispetto ai miei tempi questa parte è davvero diventata migliore». Così Attilio Fontana, da due mesi presidente della Regione Lombardia, volgendo lo sguardo sulla città dal suo ufficio a Palazzo Lombardia.
Possiamo considerare Milano la nuova capitale del food?
«Con l'Expo, ma anche prima è riuscita a valorizzare le qualità, atteggiamento che manca un po' all'Italia. Molte altre zone potrebbero farlo e non ne sono capaci. Da parte della gente c'è riscoperta, curiosità, volontà di mangiare rispettando certi canoni e ritrovare vecchi cibi. Il gusto e il piacere del cibo sono diventati importanti quanto mai erano stati».
I suoi luoghi milanesi?
«Mi piacciono le vecchie trattorie e ancor più quelli che erano bar con uso di cucina dove dovevi avvisare questa sera veniamo in cinque, apparecchiavano il tavolo in saletta e mangiavi alla grande. Lo facevamo con una sorta di cenacolo di avvocati, bellissime serate».
Con il sindaco come va, a parte le sfide ai fornelli.
«Dal punto di vista ideale abbiamo visoni diametralmente opposte rispetto al tipo di società cui tendiamo, sullo sviluppo dei progetti concreti abbiamo invece molte condivisioni. Credo che le istituzioni non debbano avere un condizionamento politico, se si collabora al di là degli interessi di partito, si fanno dei piccoli miracoli come quello di Arexpo. Un ottimo risultato».
La Lombardia viaggia tutta alla stessa velocità?
«Girandola palmo a palmo ho trovato eccellenze in tutte le zone, non ci sono aree rimaste indietro, ogni città ha caratteristiche e valori, la Lombardia non deve essere Milanocentrica».
Il suo rapporto con il cibo?
«Non sono un gran mangione, quindi mi pace farlo bene. E anche bere bene».
Ci faccia da guida enogastronomica in Lombardia.
«Partiamo dai due piatti fondamentali senza i quali la Lombardia culinaria non esisterebbe: il risotto e la Milano, la cotoletta. Poi a stretto contatto di gomito la Cassoeula, il cibo in assoluto anche se limitato all'inverno e i Bruscitt. Piatto tipico bustocco, anche se noi varesini lo consideriamo nostro: a base di carne trita cotta con il vino e un sacchettino con dentro il cacao. Dai nostri laghi il riso in cagnone con il pesce persico e la rustisciada che purtroppo si sta perdendo. Il cibo aiuta a spiegare la storia ed è espressione della cultura agraria della Lombardia».
Qual'è la molla che scatta ogni mattina rispetto alle sue molte responsabilità?
«Mi piace occuparmi di tante questioni e problemi diversi tra loro, approfondendo alcuni aspetti e cercando di capire e trovare le possibili soluzioni, ascoltando i miei collaboratori. Senza questa passione, diventerebbe un lavoro molto difficile».
Lei delega?
«Si, ma non voglio essere escluso da niente e le scelte devono essere condivise con me».
Aver fatto il sindaco la aiuta a governare la Regione?
«Aiuta a capire che è necessario parlare con la gente per capirne i problemi e rende il rapporto con i cittadini più diretto, ti spinge a fermarti e ad ascoltare. Da sindaco devi affrontare problemi anche senza risorse ed essere un po' creativo per risolverli. Questo aiuta, la gente vuole risposte e anche quando non le abbiamo dobbiamo dare la massima attenzione».
Cosa metterà in campo per lo sviluppo dell'agricoltura?
«Aiutare gli agricoltori rispetto ai tagli che l'Europa farà e semplificare le modalità di accesso ai bandi, risposte più rapide e meno burocrazia che deve diventare un aiuto e non essere un nemico dei cittadini. Poi, facilitare la digitalizzazione per far conoscere meglio le realtà produttive. Anche nel vino, le nostre bollicine di Franciacorta non sono seconde a nessuno e i vini della Valtellina sono per me i migliori in assoluto».
Qual'è il sapore della sua infanzia?
Insalata russa e salame, due cose non potevo quasi mai mangiare. E poi il profumo delle rose del giardino della casa di Induno Olona dove sono cresciuto con i miei genitori. I piatti preferiti erano il risotto con i fegatini di pollo di nonna Maria e i rustin negàa di nonna Irma, annegati nel burro. Eccezionali».
La tavola era condivisione familiare.
«Il senso della famiglia, le domeniche a trovare le nonne con gli zii e i cugini. Era bello ascoltare, parlare, stare insieme. La vigilia di Natale era caratterizzata dalla grande attesa e dalla nonna che preparava i ravioli: ogni tanto rubavo un po' di impasto e me lo mangiavo. Un rito piacevole, con papà che arrivava con l'antipasto comprato dal gastronomo».
Ai fornelli se la cava?
«Mi piace cucinare, andando a comprare gli ingredienti giusti. Non sono un campione, ma cinque sei cose mi riescono bene. Piatti forti il risotto, ma anche una bella carbonara o gli spaghetti all'amatriciana. Sono innamorato della carne cruda che bisogna saper scegliere e condire nel modo giusto. Per me olio, sale e pepe, la tartare ha troppi sapori».
La cena romantica è un'arma vincente?
«È cambiato il mondo... Penso di no, è più importante la simpatia, lo star bene insieme, intriga di più oltre a un piccolo segreto per conquistare una donna...».
Quale?
«Saper farla ridere».
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