Milano non ce la fa più. Troppi i morti durante l’emergenza da coronavirus. E se gli ospedali cominciano a essere meno affollati, quelli al collasso adesso sono i cimiteri. Come riportato da il Corriere, la salma di una 79enne, morta in casa lo scorso 24 maggio nella zona Nord della città, è stata trasportata a Domodossola per essere cremata. Una dozzina di giorni e i suoi familiari non hanno più avuto notizie. La sorella della deceduta continua a chiedere informazioni ma gli addetti alle pompe funebri, seppur gentilissimi, non hanno risposte. Non resta che aspettare e sperare di poter riavere presto le ceneri.
Milano non ce la fa ad accogliere i suoi figli
Altri feretri di anziani morti con coronavirus hanno dovuto affrontare un viaggio, l’ultimo, ancor più lungo. C’è chi ha raggiunto Civitavecchia, ben 550 chilometri. Prima la destinazione era il Piemonte, Torino per la precisione. Poi la situazione è divenuta insostenibile anche là. E il cimitero si è arreso, iniziando a rifiutare le salme che non fossero della città. Siamo stati abituati a vedere le bare di Bergamo trasportate dai militari, adesso l’autostrada viene usata quasi esclusivamente dai carri funebri per raggiungere altre lontane destinazioni. Perché Milano non riesce più a dare l’eterno riposo ai suoi cittadini.
Massimo Cerato, titolare delle onoranze funebri San Siro, ha sottolineato che la cremazione è un diritto che rientra nelle ultime volontà del defunto. Adesso sembra che anche morire sia diventato una difficoltà. “Oggi cosa dovremmo dire, che quel diritto e quelle volontà non esistono più? Da Milano abbiamo portato le salme a Torino chiedendo un minimo contributo alle famiglie; ora le stiamo portando a Civitavecchia e ci facciamo carico noi del servizio, perché siamo la “San Siro” ed è un modo per stare vicini alla comunità in questa catastrofe. Ma poi dove andremo?” ha detto Cerato. Già, perché anche negli altri cimiteri prima o poi i posti finiranno. Feretri di anziani milanesi sono finiti a Valenza, Mantova. Altri ancora più lontano. Forse le prossime mete saranno le Regioni del Sud Italia. Ai parenti non resta che accettare e aspettare di avere notizie, ormai quasi senza reazione.
Un solo impianto di cremazione
A Milano viene cremato circa il 70% dei morti. I problemi però ci sono. L’unico impianto della provincia, quello al cimitero di Lambrate, ha cinque linee. Una di queste però si trovava già in manutenzione da tempo. Le altre non riescono a far fronte alle tante, troppe bare che arrivano. E venerdì scorso sono state chiuse. Il tempo di attesa è salito da 4 a 20 giorni. La cremazione è quindi stata chiusa prima ai non residenti, e poco dopo a tutti, milanesi compresi. Il coronavirus ha dato il colpo di grazia a una situazione già in bilico. I titolari delle onoranze funebri hanno spiegato che “non si è mai aperto il servizio di cremazione ai privati, pur sotto stretta regolamentazione, e in questo momento il settore pubblico non riesce ad affrontare l’emergenza”. Se i parenti delle vittime non decidono entro 72 ore una sistemazione, ci pensa il Comune, d’ufficio.
Nella giornata di ieri, nell’obitorio del Pio Albergo Trivulzio, vi erano 28 feretri. Il Policlinico ha dovuto chiedere al parroco di accogliere in chiesa bare e corpi in sacchi neri. Perché il posto era finito. Prima del coronavirus, Milano registrava circa 45 decessi al giorno. Adesso il numero minimo è una novantina, che in certe giornate può arrivare a quota 180.
Roberta Cocco, assessore ai Servizi civici del Comune, ha reso noto che “i mesi di gennaio e febbraio e la prima metà di marzo sono in linea con gli anni precedenti ma, a partire dalla seconda metà di marzo, abbiamo osservato un incremento notevole delle morti, anche a causa dei decessi più che raddoppiati tra gli ospiti delle Rsa cittadine e nelle abitazioni private. Incrementi che hanno saturato la capacità del Crematorio”. In neanche due settimane vi sono stati 1.300 decessi in più.Segui già la pagina di Milano de ilGiornale.it?
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