Tante parole, ma (per fortuna) pochi fatti. C’era tutta la sinistra estrema ieri in piazza a Milano. Poco meno di diecimila persone di cui almeno duemila venute da tutta Italia. Colorati, chiassosi, ciarlieri e canterini, al grido di «Occupyamo piazza Affari» e favoriti da una giornata con clima quasi estivo, comunisti di tutte le età hanno attraversato la città per quasi cinque chilometri, da piazza Medaglie d’Oro a piazza Affari. Sconvolgendo un sabato di shopping (la quasi totalità delle serrande dei negozi è rimasta abbassata) e mobilitando, dalle 14 alle 18, uno spiegamento di forze dell’ordine che non si vedeva da un po’ di tempo. Con poliziotti e carabinieri a ogni angolo e gli elicotteri che sorvolavano minacciosi il cielo senza sosta. Ma «deludendo» sostanzialmente le nefaste aspettative della vigilia di questa manifestazione che, si pensava, avrebbe visto i Disobbedienti mettere a ferro e fuoco Milano. A parte le scritte sui muri contro il governo Monti (tante), infatti, anche i bancomat danneggiati sono stati meno del solito. «Meteo Milano: nessun cambiamento di vento rilevato» recitava uno striscione sulla fiancata di un camion in corteo. E così è stato.
Gli auspici a inizio giornata, in realtà, non erano stati dei migliori. Quando, intorno a mezzogiorno, alla barriera di Melegnano, su due pullman di manifestanti provenienti da Napoli, la Digos ha sequestrato tre mazze, un passamontagna e degli occhialini per lacrimogeni, si è cominciato a temere il peggio. Soprattutto in considerazione del fatto che si sapeva che ieri, in corteo a Milano, si sarebbero presentati al gran completo tutti i centri sociali. Addirittura i «vecchi» del Leoncavallo e del Vittoria, quelli delle Panetteria che, uniti a ragazzini come quelli del Kantiere e a qualche anarchico e mettendo da parte vecchi rancori ideologici, volevano tentare un riassemblaggio sotto l’egida delle bandiere arancioni e rosse dei Cub (Confederazione unitaria di base) e dell’Usb (Unione sindacale di base). Tutti sanno infatti che sono ormai pochi gli argomenti che li tengono uniti, che hanno perso gli spazi di agibilità politica di un tempo, ma soprattutto che sono lontanissimi gli anni in cui mobilitavano numeri consistenti di persone. E il test di ieri lo ha confermato.
Alle 14 in piazza Medaglie d’Oro, in Porta Romana, c’erano proprio tutti: dagli operai del cantiere Bormida di Savona, ai ferrovieri dell’Orsa, fino al Movimento popolare di liberazione, alla Federazione della Sinistra di Bergamo e ai numerosissimi esponenti No Tav le cui signore non hanno esitato ad avvolgersi in bandiere con la scritta: «la valle che resiste». In molti hanno intonato «Bandiera Rossa» e l’inno dell’Internazionale in attesa che il corteo si muovesse. Solo alle 15.20, infatti, la coda della manifestazione ha cominciato a infilare corso di Porta Romana.
Trenta minuti dopo il primo danneggiamento di rilievo davanti all’entrata della sede della Bnl di largo Crocetta. Dove i manifestanti hanno costruito un vero e proprio muretto con calce e mattoni rossi in mezzo ai quali hanno infilato una bandiera dei Cub. Molti passanti, armati di telefonini e macchine fotografiche, si sono profusi in scatti per immortalare quella che a qualcuno forse è parsa un’opera d’arte moderna. All’incrocio con via Santa Sofia lo schieramento della Celere è stato costretto ad aprire un varco a un’ambulanza che ha soccorso una bimba (figlia di due manifestanti) caduta dal passeggino in via Molino delle Armi.
Altro bancomat, stavolta di Cariparma, distrutto all’angolo tra via Molino delle Armi e via Vettabbia e uova marce a profusione contro le vetrate della Ubi banca al Carrobbio. Scritte No Tav e No Tem (il movimento, nato tra i Comuni a est di Milano, che si oppone alla costruzione di una seconda tangenziale, ndr) un po’ dovunque, ma soprattutto sui muri e non sulle vetrine. Attimi di tensione intorno alle 17, in piazza Cordusio, quando alcuni militanti hanno attaccato alle vetrine della sede di Unicredit una maxi banconota del valore del debito italiano con la faccia del governatore Bce, Mario Draghi.
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