Pochi giorni fa la procura di Milano ha aperto un’inchiesta, al momento solo conoscitiva, sul fenomeno dei riders, i fattorini su due ruote arruolati da società di food delivery per la consegna del cibo a domicilio. L'indagine, oltre alla violazione delle norme antinfortunistiche e di sicurezza stradale, intende far luce anche sull'aspetto di sfruttamento dei lavoratori e tra i lavoratori, come il caporalato, e sulla presenza di clandestini. Infatti, ad agosto, dai controlli di 30 riders sono stati trovati 3 lavoratori clandestini, senza documenti in regola.
Ma oltre che in giro per la città a tutta velocità, dove stazionano i riders a Milano in attesa di ricevere le richieste di consegna dalle loro società? C'è un luogo più di ogni altro, sparsi per tutta la città, preferito dai "ciclisti del cibo". Basta fare un giro ai giardini del piazzale del davanti al Cimitero Monumentale per vederli bivaccare ogni giorno sulle panchine, telefonino ultimo modello in mano e bici costose, soprattutto mountain bike (così come testimonia il nostro servizio fotografico). Alcune con freni a disco e altre addirittura con pedalata assistita. Stanno lì, seduti ore ed ore, a mangiare, parlare e aspettare la comanda con le sacche per il cibo appoggiate per terra. Tutti ragazzi di colore sulla ventina, vestiti con tuta e felpa con cappuccio, come se fosse una divisa di ordinanza per passare il più inosservati possibile. Ma è impossibile non vederli anche perché stanno assiepati tutti insieme, a volte anche 20-30 alla volta.
Sono tutti in regola? Tutti regolarmente in Italia e tutti idonei alla professione? È su questo aspetto che la procura intende far luce. Pare, infatti, essere pratica in uso quella di cedere il proprio account da rider per Glovo, Just Eat o Deliveroo agli immigrati clandestini, facendosi pagare ovviamente una quota in denaro. Insomma, una tangente, in percentuale sulle consegne. L’indagine vuole verificare eventuali violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro, la loro tutela, l'aspetto della sicurezza pubblica sulle strade e i profili igienico-sanitari riguardanti i contenitori che utilizzano.
Spesso si vedono sfrecciare non solo sulle strade, ma anche su marciapiedi (come testimonia la nostra foto sul cavalcavia ferroviario di via Carlo Farini di qualche giorno fa) e aree pedonali, contromano, non curanti del codice della strada e delle persone che incrociano davanti al loro cammino. Pertanto, gli inquirenti potrebbero pure arrivare a contestare reati, per certi incidenti stradali che hanno coinvolto i ciclisti che portano il cibo, a carico dei datori di lavoro. Lavoro non facile perché la polizia locale non distingue tra incidenti che riguardano “comuni” ciclisti e riders.
Il fascicolo, al momento senza titolo di reato e indagati, ipotizza, però, presunte violazioni del decreto legislativo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro da parte delle società che impiegano i riders: in genere non hanno alcuna dotazione prevista dalla normativa e, dunque, girano per le strade senza caschi, spesso con bici e freni non adatti, senza luci la sera, senza giubbotti catarifrangenti e scarpe adeguate e senza le dovute visite oculistiche.
Per il momento, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Tiziana Siciliana e del pm Maura Ripamonti, sono stati sentiti una trentina di riders, quasi tutti stranieri, dei quali circa il dieci per cento è stato scoperto essere clandestino. "Le norme sulla sicurezza del lavoro - spiegano in Procura - devono essere rispettate anche nei confronti di lavoratori che non sono subordinati".
Al vaglio degli inquirenti, c'è anche l'ipotesi del cosiddetto caporalato telematico, cioè la cessione degli strumenti di lavoro, in particolare gli smartphone con le app per le consegne, a immigrati clandestini. “È una indagine doverosa, sotto il profilo della prevenzione e a tutela dei lavoratori - hanno spiegato pm e aggiunto -. Ci consente di esplorare questo fenomeno, di cui finora erano stati presi in considerazione solo i profili giuslavoristici e, quindi, contrattuali, che è ampio ed è in espansione ma senza controlli”.
A scoperchiare questo fenomeno è stata un’inchiesta del Corriere della sera di qualche giorno fa. Un giornalista, senza essersi mai registrato al portale e servendosi del terminale di un altro e vero rider (che si era registrato in precedenza), è riuscito a fingersi rider per un giorno.
"Posso cedere la mia applicazione a un'altra persone per fare le consegne?", chiede il cronista alla selezione per diventare rider. "Assolutamente no. Non è legale: è caporalato. Glovo non consente di prestare l’applicazione a nessuno. Quindi, se per caso, io ordino e vedo qualcuno di voi che arriva e non corrisponde al rider della foto, non vi denunciamo – perché evitiamo denunce –, ma vi chiudiamo l'account", rispondono.
In verità è esattamente questo il sistema che moltissimi ragazzi utilizzano per lavorare. E nella maggioranza dei casi si tratta di giovani immigrati irregolari, privi di regolari documenti. Il sistema è semplice: chi non ha i documenti, si mette d'accordo con un rider in regola e gli paga la "licenza". Come testimonia un migrante: "Io ho il permesso di soggiorno per soli 6 mesi, ma la società chiede quello dai 2 ai 5 anni. E allora un mio amico, che ora lavora in un ristorante, mi ha lasciato l’account. Io non gli pago niente, perché è mio amico, ma le altre persone che fanno così pagano".
AssoDelivery, l'associazione delle imprese del food
delivery, in una nota ha fatto sapere che “il caporalato è un fenomeno di illegalità che le piattaforme intendono contrastare in ogni modo” e nei cui confronti è stata adottata “una politica di tolleranza zero”.
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